LA MARCIA SU BERLUSCONI
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Costretto a un percorso di guerra fra tribunali, procedimenti d’ineleggibilità
e norme sul conflitto d’interesse, Silvio Berlusconi si prepara a combattere.
Da MicroMega (in piazza) al Pd (in Aula): lo vogliono ineleggibile, condannato e senza roba.
Come sempre è il Cavaliere ad accorgersi per primo del pericolo, più dei suoi tanti obbedienti cavalli, più dei suoi deputati e senatori che in queste ore inseguono scombiccherati negoziati sulla nomina di un capo dello stato “di garanzia”. Berlusconi avverte, non senza timore, la geometrica potenza di fuoco che gli si va dispiegando di fronte: un Parlamento favorevole al suo grillage giudiziario, il Pd sempre più concorrente del Movimento 5 stelle: non è più tempo di compromessi, non è aria. A Palazzo Grazioli vedono un disegno compiuto, che prende tratti persino scientifici nelle parole di Massimo Mucchetti, il giornalista economico e deputato del Pd che ieri ha fatto trasalire i fedelissimi di Arcore con un intervento pubblicato in prima pagina sull’Unità: “Molto meglio inserire tra le cause di ineleggibilità e incompatibilità la proprietà personale o familiare, diretta o indiretta, di pacchetti azionari rilevanti di società che, direttamente o per tramite di affiliate, siano titolari di concessioni e/o licenze d’uso rilasciate da pubbliche amministrazioni ovvero operino in settori regolamentati”. Quasi un articolato di legge, la sistematizzazione più contundente delle pulsioni disordinate del grillismo.
D’altra parte il Cavaliere sa che la legge sul conflitto di interessi è già pronta in un cassetto della segreteria del Pd, Bersani l’ha annunciata e in privato Maurizio Migliavacca ha pure confermato che esiste, così lui vede all’orizzonte il delitto perfetto e comprensibilmente cerca di sfuggire, agita il suo elettorato, scatena la piazza con sorprendente sincronia di mezzi, orari e viscere rispetto ai suoi avversari: MicroMega manifesta sabato prossimo a Roma a Santi Apostoli per pretendere la sua ineleggibilità, il Pdl riunisce i suoi (centinaia i pullman dalla Campania e dalla Sicilia) a difesa di un Cavaliere che ha abbandonato i toni del populismo elettorale per vellicare l’estremismo, altri e persino più forti istinti popolari.
“E cosa dovremmo fare?”, dice Daniela Santanchè, pasionaria del berlusconismo: “Dovremmo forse stare fermi, e aspettare che si compia il disegno perfetto dei nemici del Cavaliere?”. Piazza contro piazza, dunque. Ma la manifestazione del Cavaliere non è lo spasmo estremista di una piccola rivista come MicroMega, è lo scarto furioso di un partito che ancora conta il venti per cento dei consensi e che pure – malgrado tutto – è precipitato in un lugubre isolamento che non prelude a nulla di buono. “Siamo isolati e ostracizzati, ma è quel che vuole questo Pd ultra giacobino”, dice Mariastella Gelmini, l’ex ministro. Tutto ciò mentre nel Pd il nuovo capogruppo al Senato, Luigi Zanda, insiste, e ognuno è estremista per l’altro: “La minaccia delle piazze è gravissima. Il Pdl parla di guerriglia”, dice Zanda in un contesto in cui anche nel Pdl c’è chi sorride degli eccessi altrui, ma poi finisce pure con il riconoscersi nella descrizione degli avversari e arriva a confessare il vero sentimento che anima il movimentismo del Cavaliere: l’impotenza e il rimpianto. “Abbiamo governato a lungo con una straordinaria maggioranza, quante cose avremmo potuto fare…”, sussura Fabrizio Cicchitto, l’ex capogruppo alla Camera, oggi defilato ma sempre personalmente molto vicino a Berlusconi: “Lo difenderò fino all’ultimo”.
Così da una parte c’è il Cavaliere che agita le masse, pensa alle elezioni, si muove in una logica di mobilitazione permanente dell’elettorato e in fondo crede – o forse spera – che Pier Luigi Bersani punti anche lui a votare al più presto possibile. E dall’altra c’è la corte di Palazzo Grazioli, il partito di Angelino Alfano che lo difende, ma che pure tenta di negoziare con il Pd, che ritiene sul serio possibile una trattativa intorno al Quirinale, a una presidenza di garanzia (magari l’evanescente rielezione di Giorgio Napolitano). “Non credo che funzionerà”, dice Gelmini, prossimo vicecapogruppo alla Camera: “Ho la percezione esatta del nostro isolamento, si eleggeranno il loro presidente della Repubblica. Quello peggiore per noi. Il Pd ha perso tutti i suoi tratti moderati, si sono radicalizzati, ideologizzati, vogliono fare fuori Berlusconi”. Ecco dunque il piano, il disegno, il rumore di cingoli che si fa più nitido. “Noi berlusconiani non abbiamo un destino al di là di Berlusconi”, conclude Gelmini: “Se cade lui cade tutto, cadiamo tutti”. Il Cavaliere un po’ lo ha sempre detto, “dopo di me la piena”. E così sia.
di Salvatore Merlo – @SalvatoreMerlo, 20/3