«Italia, ecco perché devi dire addio all’euro»
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«Più che di “cintura dell’aglio”, come i tedeschi hanno ribattezzato
il Sud Europa, dovremmo parlare di “cappio dei suicidi”. Poiché l’austerità altro non è che una corda che Bruxelles ha calato dall’alto attorno al collo delle popolazioni dei Paesi alla periferia di Eurolandia. Sono queste le Nazioni più a rischio, dove la “disoccupazione di lungo periodo” è più alta. La prima ondata di suicidi si verifica in concomitanza col licenziamento, la seconda coincide con lo scadere dei sussidi di disoccupazione ed è quella più imponente. Oggi si muore per i debiti, per pagare gli arretrati dell’iscrizione al country club della moneta comune europea e per sostenere le spese di una Nazione ormai fallimentare, incapace di garantire lo Stato sociale e votata all’Austerity»
(Loretta Napoleoni, Democrazia Vendesi, Rizzoli, 2013)
Questo è un passo di Democrazia Vendesi, l’ultimo libro dell’economista Loretta Napoleoni. Wall & Street l’ha intervistata per conosce il suo parere non ortodosso sul costo dell’unione monetaria e sull’opportunità di praticare politiche di austerity in un periodo di profonda recessione economica. Nel colloquio abbiamo provato a smontare alcuni luoghi comuni sui quali i media hanno costruito impalcature teoriche.
Lo spread tra i nostri Btp e il Bund tedesco è un indicatore economico?
«Lo spread è un indicatore finanziario che i politici usano come un’arma. Si può avere un’economia in recessione come quella italiana e avere uno spread migliore di quello della Spagna solo perché il mercato la giudica più rischiosa. Ma ciò cui si dovrebbe guardare sono gli indicatori economici».
Lo spread lo ha abbattuto Mario Monti o Mario Draghi?
«Mario Draghi è stato fondamentale. I mercati hanno percepito la difesa dell’euro come decisiva e da allora la situazione è migliorata. Non è certo la politica di austerity che ha contribuito a cambiare lo scenario».
La politica di austerità è sbagliata?
«Sì. Noi abbiamo bisogno di una politica espansiva che sia indirizzata alla crescita. Ma quali sono le industrie che possono favorire la crescita? In Italia non lo sappiamo perché non c’è una politica industriale. Nel mio ultimo libro sostengo che l’unione monetaria ha costretto alcuni Paesi a vivere di consumi e di trasferimenti dall’Unione Europea (cioè senza produrre alcunché; ndr)».
Perché la Grecia è in ginocchio nonostante gli aiuti?
«I soldi che ha ricevuto non sono stati utilizzati per far ripartire l’economia ma per ripagare il debito che per lo più era detenuto dalle banche straniere. Con l’austerità la crisi si è avvitata su se stessa e si è perso il 25% del pil in 5 anni, cioè oggi la Grecia produce un quarto di meno di quanto producesse cinque anni fa. Stanno massacrando l’economia greca e questo è accettato da tutti».
Condivide l’opinione secondo cui la situazione europea attuale assomiglia molto a quella del 1913?
«Penso di sì. Ci sono molti punti di contatto. Però voglio precisare che non è colpa della Germania ma di un sistema monetario concepito in modo sbagliato e che va cambiato radicalmente. Altrimenti emergerà l’elemento populista».
Quanto ha guadagnato la Germania con l’euro?
«Che il vincitore sia la Germania è fuor di dubbio. Però anche lì si comincia a soffrire: nel quarto trimestre del 2012 il pil è arretrato. Certo, la moneta unica le ha aperto totalmente un grande mercato, quello dell’Unione Europea. Ma ora non solo l’export sta rallentando ma le si chiede di aiutare gli altri Paesi accollandosi o annullando una parte del loro debito»
Lei sostiene che si potrebbe uscire ordinatamente dall’euro negoziando sia la gestione del debito che la svalutazione della nuova divisa. Come si può fare?
«Basta averne la volontà. Certo, con una classe politica quasi tutta pro-euro il discorso è più complicato perché queste posizioni restano isolate. Invece servirebbe una discussione franca nel Consiglio Europeo prendendo atto che l’euro così com’è rischia di implodere. Serve un Euro-2 per i Paesi periferici dell’Europa con una svalutazione controllata al 20-30%. Il debito estero (quello italiano ammonta a circa 700 miliardi; ndr) potrebbe essere rinegoziato. Oppure ricomprato tramite una imposta patrimoniale. Oppure si potrebbero scambiare titoli di Stato con i soggetti di questa imposta (una sorta di prestito forzoso; ndr) ».
Qual è il messaggio che lancia con il suo libro?
«Che la democrazia è in vendita, perché sulle grandi decisioni i cittadini non possono intervenire. La politica monetaria europea è nelle mani di Mario Draghi che però non è al suo posto sulla base di un mandato popolare. E poi affermo che la soluzione non sono le privatizzazioni perché il problema non è lo Stato, ma il sistema monetario».
Wall & Street