La giustiziera
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Antropologia minima di un’Italia giusta che coltiva odio in forma di diritto (in salsa politica)
Ma come, i parlamentari del Pdl si presentano al Palazzo di giustizia di Milano perché non ne possono più di vedere il proprio leader sotto schiaffo, esposto al rischio di eliminazione politica per mano giudiziaria, tra minacce di condanne e di interdizione dai pubblici uffici, umiliato da una procura che chiede visite fiscali, manco avesse di fronte un criminale incallito e non l’ex presidente del Consiglio. Ma come, un partito che rappresenta molti milioni di elettori, fa sapere di essere pronto se necessario a ritirarsi su un nuovo Aventino, disertare l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento e del nuovo capo dello stato, gesto senza precedenti nell’Italia repubblicana, e non succede nulla? Appena un post di Liana Milella? I soliti repubblicones che ripetono ormai fino alla noia: il Cav. non è un perseguitato, la legge deve essere uguale per tutti. Magari no, magari diciannove anni, tanti ne passano dalla prima iscrizione nel registro degli indagati comunicata dal Corriere della Sera fino alla scoperta di un sistema prostitutivo e sai che scoperta, sono veramente troppi: per chiunque e ovunque, in patria e all’estero, in democrazia e persino in una dittatura che dopo un po’ una soluzione la trova.
Magari per milioni di italiani, il tempo di Ilda Boccassini è tempo lugubre. Magari, non piace che abbia fatto del Cav. l’uomo politico più perquisito, indagato, inquisito, processato del pianeta. Non piace lei, il fondamentalismo di chi vuole che si faccia l’amore usando un lenzuolo con un buco, magari la ritengono all’origine della domanda: perché tanto odio? Non perché non sia giusto perseguire chi commette il male, ma perché male ben peggiore, assoluto, è credere che sia possibile estirparlo, rieducare chi sbaglia a non commettere più reati, né grandi né piccoli: questo è l’incubo della vera disumanità. Lo dice anche un salmo della Bibbia, salva l’anima dalla spada e il cuore dal potere del cane, segno di dipendenza. Ilda Boccassini è dipendente da anni: il suo cane nero è fare la pelle in senso proprio e figurato all’ex presidente del Consiglio. Anche lei deve essersi detta se non ora quando. Il Cav. due mesi fa sembrava morto, improvvisamente dà ancora segnali di vita, insufficienti però a farne ancora l’arbitro della situazione. E’ risorto per tigna, qualità caratteriale di cui dispone in misura superiore a qualsiasi politico. Anche altri al suo posto si sarebbero ribellati contro accuse che non stanno in piedi ma dopo diciannove anni di fuoco di fila avrebbero gettato la spugna: sarebbero andati da lei, avrebbero firmato la resa. Non lui, non il Cav.
Il fatto è che ci sono due Italie e non da oggi. Una è con lui, una con lei. La prima non è molto riguardosa sui principi, mira quasi esclusivamente all’interesse e ai compromessi necessari a tutelarli, crede in una società aperta, nella giustizia come pattuizione, è tollerante, non coltiva il rancore né l’odio personale. La seconda è esattamente il contrario, usa la legge scritta, i codici, come una pietra tombale, agita come arma quell’eguaglianza di fronte alla legge che è una delle grandi mistificazioni del Secolo dei lumi: l’Italia di cui Ilda Boccassini è icona non ha avuto mai a che fare con la giustizia, pensa che la sorte benignamente preserverà chi è di sinistra e antropologicamente diverso dal Cav., come se anche in quella parte di popolo non esistessero corruttori, riciclatori, falsi fatturatori, puttanieri, spacciatori, abusivisti e delinquenti vari. Il problema ce lo trasciniamo da anni. E da anni siamo nella sfibrante attesa di una riforma della giustizia che sia nell’interesse di tutti. Se vincerà Ilda avrà vinto un’idea di giustizia emotiva in cui è facile che si insinui l’odio. Quando sullo schermo vide lo sguardo che il Caimano Nanni Moretti lanciava alla pm Anna Bonaiuto, Ilda Boccassini trasecolò tutta. Raccontò che nel buio della sala il cuore le andò per aria come in un impulso inatteso e si ritrovò emozionata, atterrita, stupita della sua stessa angoscia. Una giustizia così non fa bene né a chi indaga né a chi è indagato. Non fa bene a nessuno.
di Lanfranco Pace, 12/3