Spostamento di poteri dopo le elezioni
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e il potere deriva dalla probabilità che ciascun partito ha di giocare
un ruolo determinante nella formazione di una maggioranza, è evidente che il M5S ha un potere enorme. E la riluttanza ad allearsi aumenta la sua forza. Ma la totale intransigenza finirebbe per avvantaggiare soprattutto Berlusconi.
IL “GIOCO” DEL POTERE
Sono poche le certezze all’indomani delle elezioni. Una fra queste è che i giochi si fanno al Senato. L’altra è che Beppe Grillo, a dispetto dei suoi 54 senatori (poco più del 17 per cento dei seggi) ha un potere enorme. Ma quanto di fatto conta? E quanto contano gli altri? E da cosa dipende questa “distribuzione” del potere?
Sono domande importanti, non solo in questa fase in cui i partiti esplorano la possibilità di formare un governo, ma anche perché il governo, qualunque sia e indipendentemente da quanto vivrà, dovrà continuare a fare i conti con una dinamica parlamentare che si prevede molto controversa e instabile, soprattutto al Senato.
Sono anche domande a cui è difficile rispondere. Le variabili in gioco sono molte: i seggi di ogni partito, le alleanze, le posizioni ideologiche, la prossimità politica, l’imprevedibilità delle mosse di Grillo, gli interessi di ogni partito a tornare alle urne.
Per tentare delle risposte utilizziamo qui un algoritmo che generalizza l’indice classico di potere politico di Shapley-Shubik. Uno dei due ideatori, Lloyd Shapley, è stato insignito quest’anno del premio Nobel per l’economia. La generalizzazione proposta da Jason Barr e Francesco Passarelli in un articolo del 2007 tiene conto delle posizioni ideologiche dei partiti stessi. (1) In estrema sintesi, il potere deriva dalla probabilità che ciascun partito ha di giocare un ruolo determinante nella formazione di una maggioranza o nella caduta di un governo. È evidente che il ruolo non deriva solo da quanti seggi quel partito ha a disposizione, ma anche dalla sua posizione nello spazio politico e da quanto è disposto ad allearsi con altri.
Come vanno intese le nostre misure del potere? Innanzitutto come prestigio o rilevanza, ma non solo. Potere significa influenza nel decidere quali leggi passeranno e come verranno scritte. Potere significa anche ministri, presidenze di commissione, poltrone importanti… Se uno immagina il gioco politico come la divisione di una torta, allora il potere è la fetta che ciascuno porta a casa. I nostri numeri ci dicono quanto sarà grossa quella fetta.
Abbiamo costruito uno spazio politico sinistra-destra e vi abbiamo collocato i partiti. La disponibilità di ciascun partito a fare alleanze è tanto minore quanto più questo partito deve scendere a compromessi. Per esempio, abbiamo collocato la Lista civica di Mario Monti al centro, ma più vicina al Pd che al Pdl. Quest’ultimo è meno a destra della Lega e più disponibile a fare alleanze con Monti e con il Pd (come l’esperienza dell’esecutivo Monti dimostra). Quindi, dati i seggi, abbiamo calcolato la probabilità di ogni partito di essere determinante nella formazione di un governo o nel farlo fallire, cioè il suo potere. Vediamo, allora, cosa ci dice l’algoritmo del Nobel. (2)
L’INCOGNITA M5S
Come sostenuto dallo stesso Grillo, il Movimento 5 Stelle non è collocabile in un quadro destra-sinistra. Abbiamo quindi deciso di considerare due diversi scenari. Nel primo, il M5S è potenzialmente disponibile ad appoggiare ogni possibile coalizione (sia di destra che di sinistra). Nel secondo scenario, il M5S può allearsi solo con il centrosinistra, ed eventualmente con Scelta civica. Per entrambi gli scenari, abbiamo valutato diversi gradi di “riluttanza” da parte del M5S. La riluttanza va da zero a uno e misura la probabilità di fare alleanze. Quale sia l’esatto valore di questa riluttanza (che al momento toglie il sonno a non pochi politici e aiuta a riempire le pagine dei giornali) nessuno può dirlo. Proprio per questo è importante capire come influenzerà i futuri giochi parlamentari.
Nel primo scenario, il fatto che Grillo sia disponibile a appoggiare governi sia a destra che a sinistra dà potere al Pdl e alla Lega, e lo toglie al Pd (figura 1). Monti ha una certa quota di potere, che gli deriva dalla chance, forse solo teorica, di sostituire la Lega in un’alleanza fra centrodestra e Grillo. Tutti i partiti perdono quando Grillo è poco disponibile a dare il proprio appoggio. In particolare, i partiti minori (Lega, Sel e Monti) perdono perché diventa più probabile che sia l’appoggio di Grillo, e non il loro, a essere decisivo.
Quindi, Grillo guadagna potere quando è riluttante. Nonostante i suoi 54 seggi, gli basta un grado di riluttanza maggiore di 0,2 per avere un potere addirittura superiore a quello del Pd. Con una riluttanza pari a 0,9, Grillo porta a casa il 70 per cento della torta e lascia ai due partiti maggiori un misero 30 per cento da spartirsi e ai partiti minori solo le briciole. Il motivo di tutto questo potere è che quando gli altri partiti hanno scarse chance di formare un governo, essere disponibili ad alleanze non precostituite e, allo stesso tempo, mostrarsi riluttanti è una strategia che paga moltissimo.
Ma il grafico ci dice un’altra cosa: a Grillo conviene tirare la corda, ma non fino a spezzarla. Perché, ovviamente, nel caso di riluttanza massima pari a 1, il gioco s’inceppa: il potere del M5S crolla a zero, mentre il pallino passa di nuovo in mano a Pd e Pdl. Certo, il nostro algoritmo si muove in un’ottica “statica”: guarda, cioè, ai giochi nel Senato che è appena stato eletto. Mentre i partiti prendono le proprie decisioni anche in un’ottica “dinamica”. E Grillo potrebbe decidere di far saltare il tavolo, rinunciando al proprio potere in questo Parlamento, nella speranza che la sua intransigenza verso la vecchia politica gli porti ancora più voti nelle prossime elezioni.
Passiamo al secondo scenario, che esclude a priori l’ipotesi che Grillo possa mai allearsi con Silvio Berlusconi e la destra (figura 2). Vediamo subito che il potere del Pd quasi raddoppia (come non sfugge a Pier Luigi Bersani, che cerca affannosamente di costruire un ponte verso il M5S). Il Pdl invece perde drasticamente. Nessuno dei partiti piccoli ha alcun potere. Monti, che nel primo scenario risultava determinante solo nel caso in cui Pdl e Grillo votassero insieme, nel secondo scenario perde ogni chance.
Anche qui la riluttanza avvantaggia Grillo. È interessante che anche il Pdl ci guadagni. Infatti, con la riluttanza dei grillini aumenta la credibilità dell’alternativa Pd-Pdl, che dà potere a quest’ultimo.
Gli scenari coincidono quando la riluttanza del movimento di Grillo è massima. In tal caso, Pd e Pdl sono costretti a formare un governo e si dividono il potere, quasi equamente. Anzi, Berlusconi avrebbe più potere di Bersani, anche se si tratterebbe di un potere effimero data la scarsa stabilità di questa coalizione. (3)
L’analisi conferma quanto osserviamo in questi giorni. Quello che forse sorprende è la dimensione quantitativa. Un cambiamento dell’atteggiamento di Grillo è in grado di influenzare profondamente il ruolo degli altri partiti e di determinare grossi spostamenti di potere. Emerge con chiarezza che la riluttanza del M5S ne aumenta il potere, ma anche che una sua totale intransigenza finirebbe per avvantaggiare soprattutto Berlusconi, rimettendo in gioco il Pdl.
(1) Passarelli, F., Barr, J. (2007). “Preferences, the Agenda Setter, and the Distribution of Power in the EU”, Social Choice and Welfare, 28(1), 41-60.
(2) Per una trattazione completa di questo algoritmo e per i dettagli quantitativi si veda il documento in allegato
(3) In un prossimo articolo ci concentreremo sulla stabilità delle diverse coalizioni, cioè le chance che hanno governi alternativi di arrivare a fine legislatura.
Di Selene Ghisolfi, Francesco Passarelli, Vincenzo Scrutinio e Simone Signore per la voce.info, 8/3