Come si governa l'immigrazione. La soluzione Hirsi Ali
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La dissidente islamica nata a Mogadiscio avverte: "Siamo in guerra"
di Giulio Meotti | 19 Aprile 2016 ore 06:09
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E’ con un lunghissimo articolo pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung che Ayaan Hirsi Ali torna a scuotere l’opinione pubblica europea dopo le stragi dell’Isis. “Stato di diritto, separazione dei poteri, sistema giudiziario indipendente, queste non erano le cose che mi hanno colpito dell’Occidente quando sono arrivata qui da immigrata?”, scrive la celebre dissidente islamica, che oggi lavora all’American Enterprise Institute di Washington. Ecco, tutto questo è messo in discussione dalla minaccia jihadista e dall’immigrazione incontrollata. Hirsi Ali espone la sua ricetta. Parla di “strisciante islamizzazione” e dice che “nelle scuole, nei seminari e nelle moschee ai giovani di origine immigrata viene inoculato il disprezzo per tutte le libertà che sono considerate i valori fondamentali del continente”. Hirsi Ali consiglia di “uscire dalla divisione artificiale in richiedenti asilo, rifugiati e migranti economici. E’ meglio scegliere le persone in termini di preparazione per l’integrazione”.
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Durante la Guerra Fredda era impedito l’ingresso dei membri delle organizzazioni proscritte, come ad esempio i comunisti in America. “A mio avviso, abbiamo bisogno di introdurre procedure di verifica simili in modo che i membri delle organizzazioni islamiche, come i Fratelli Musulmani, non raggiungano oggi l’Europa”. Non è sufficiente che gli immigrati imparino la lingua e che trovino un lavoro. “Ogni immigrato deve essere pronto ad accettare i valori del paese ospitante. Allo stesso tempo, dobbiamo agire contro i centri di indottrinamento islamista”. In terzo luogo, procedure efficaci per l’espulsione devono essere messe a punto per tutti coloro che non sono né disposti né in grado di integrarsi. Perché i controlli alle frontiere “sono necessari non sono sufficienti”. Ma prima di tutto un’avvertenza: “Dobbiamo capire che siamo in guerra”. Quand’è che la nostra classe dirigente ascolterà quest’eroica ragazza nata a Mogadiscio, mutilata dalla famiglia, profuga in Europa, parlamentare olandese, aiuto regista, obiettivo del jihad, infine esule in America, la prima profuga europea dalla Seconda guerra mondiale?
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COMMENTI
Marco Di Mattia • 5 ore fa
Più che giusto, illuminante, ma ci manca lo skill. Chi lo fa, questo lavoro, l'astinente? Qui ci sarebbe bisogno di Pericle.
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Fabrizia Lucato • 6 ore fa
È proprio così. Io rispetto tutte le culture che non sono in rotta di collisione con la mia. Non ho e non avrò mai nessun rispetto per nessuna" cultura" che impone mutilazioni e frustate varie, la subordinazione della donna, il disprezzo per i non musulmani. È già doloroso sapere che una "cultura" del genere esiste sulla Terra nel 2016. Ma rispettarla e accomodarci ad essa in Europa, no. Mai.
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Mauro Rotellini • 7 ore fa
Ottime indicazioni. Non possiamo però dimenticarci o lasciar cadere quale inutile ai fini della risoluzione del problema la considerazione che queste soluzioni, essendo soluzioni materiali, non risolvono la questione. Procedure di verifica all'ingresso, controllo dell'assimiliazione della lingua, ottenimento di lavoro, espulsioni per i non integrati... sono belle cose, ma suppongono che ci sia un tessuto culturale che sia in grado di gestire la situazione, che ne giustifichi la applicazione. Prima o poi ci troveremo di fronte a qualcuno che dice che il rifiuto della assimilazione non è motivo sufficiente per consetnire le espulsioni. La mia cultura non è nferiore alla tua. Io non sono terrorista. Io non semino odio. E cosa risponderemo allora ? Perchè non sarà sufficiente rispondere ok va tutto bene: così è stato risposto ai cinesi italiani (che però ora occupano interi quartieri e - per esempio - non denunciano i nuovi nati...); così è stato risposto ai musulmani inglesi (che - tralasciando i terroristi di nuova generazione - si sono organizzati così bene che hanno i loro tribunali Sharia cui la loro gente presta obbedienza...); così è stato risposto agli immigrati dell'Est Europa (che - nonostante la loro maggiore somiglianza - si sono organizzati replicando pezzetti della loro società con la chiesa ortodossa ed il Pope...). Questi non si sentono italiani di cultura cinese, ma cinesi abitanti in Italia. Non voglio che mi si dica che sono discorsi razzisti. Voglio avere indicazioni concrete su come affrontare queste situazioni. Senza una ricostruzione identitaria dell'Europa a parere mio non sarà possibile. Situazione resa ancora più grave dai diversi orientamenti in materia dei vari Stati e dal fatto che quella che viene fatta passare come identità euorpea (i famosi valori civili) sono il risultato di un'imposizione strasburghese. In una parola : non vedo troppo rosa all'orizzonte.
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bobcar Mauro Rotellini • 3 ore fa
Ottime indicazioni? forse per qualche distopia Orwelliana, stile Corea del Nord (o Califfato Islamico), non certo per una democrazia liberale dove aspiriamo a vivere (almeno io). In una democrazia liberale, ogni cittadino può aderire liberamente a qualsiasi cultura o sistema valoriale, scegliere il grado di "integrazione" o meno all'interno della cultura dominante, purché rispetti le leggi del Paese. Ci mancano solo le espulsioni per i "non abbastanza integrati", davvero una roba da Terzo Reich. E ancora, in un Paese civile nessuno è obbligato a "sentirsi italiano" o "sentirsi francese" o "sentirsi tedesco" anche questa è una cosa che, per fortuna, nel mondo occidentale dopo il 1945 ormai consideriamo da letamaio della storia. Trovo sempre divertente che i sedicenti "difensori dei valori occidentali" in realtà, di tali valori non conoscano neanche i rudimenti...
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massimo costantini • 8 ore fa
Oriana & Hirsi: colori diversi in uno stesso arcobaleno di intelligenza.