Isis, com'è cambiata la strategia in Europa
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Daesh ha creato una rete strutturata di cellule combattenti. Un esercito di 600 foreign fighters di ritorno che si finanzia con rapine, droga, società di copertura.
di Domenico Lusi | 28 Marzo 2016 Lettera43
Questo articolo è un estratto del numero di pagina99 in edicola fino al primo aprile, il cui servizio di copertina è dedicato all'abc del jihadismo dopo gli attentati di Bruxelles.
Gli attacchi terroristici di Parigi e Bruxelles fanno parte di una più ampia campagna a lungo termine pianificata da Isis per destabilizzare l'Europa.
Fonti dell'intelligence francese, citate in un'intervista all'Associated Press dalla senatrice Nathalie Goulet, a capo della Commissione d'inchiesta creata da Parigi per mappare le reti jihadiste nel continente, stimano che i foreign fighters di ritorno infiltrati da Daesh siano tra i 400 e i 600.
L'ESERCITO DEI MARTIRI. Un'informazione accreditata anche da un alto esponente dei servizi iracheni contattato dalla stessa agenzia, secondo il quale sono almeno 400 gli shahid (martiri) inviati in Danimarca, Germania, Gran Bretagna, Italia e Svezia con l’ordine di creare cellule del terrore e individuare i luoghi, i tempi e i metodi di attacco.
«Esiste una cesura tra quello che è stato il rischio jihadista in Europa nel recente passato e l’attuale», spiega Ludovico Carlino, analista del Jane’s Terrorism & Insurgency Center di Londra che da tempo studia le cellule islamiste europee legate all’Isis, «il punto di svolta può essere individuato nell’attentato alla sinagoga di Bruxelles del maggio 2014 nel quale, per la prima volta, furono utilizzati kalashnikov».
LA RETE DI ABAAOUD. A fare fuoco, uccidendo quattro persone, fu Mehdi Nemmouche, tornato in Europa dopo aver combattuto come foreign fighter in Siria. Fin dal gennaio 2014, si è saputo in seguito, Nemmouche era in contatto con Abdelhamid Abaaoud, il ringleader delle stragi parigine del novembre 2015, morto nel blitz di Saint Denis.
Dai lupi solitari al network operativo
«Prima dell’attentato alla sinagoga di Bruxelles», prosegue Carlino, «il pericolo jihadista era legato soprattutto all’azione di lupi solitari, giovani che si erano radicalizzati individualmente o con altre persone, quasi sempre nella cerchia dei familiari e degli amici, e che, impossibilitati a lasciare l’Europa per andare a combattere in Siria e Iraq, si procuravano armi rudimentali o di facile reperibilità per passare all’azione in patria. Come Mohammed Merah, protagonista degli attentati di Tolosa del 2012».
IL RAMO ESTERNO DI DAESH.Rispetto a questa fase, i fatti del maggio 2014 rappresentano un primo salto di qualità. «Gli attacchi a Charlie Hebdo e quelli che seguono (l’attentato sul treno Amsterdam-Parigi, quelli del 13 novembre e gli ultimi in Belgio) segnano il definitivo cambiamento: emerge con chiarezza la presenza di un network operativo espanso tra la capitale francese e quella belga, un ramo esterno dello Stato Islamico in contatto con la casa madre siriana».
Una galassia, conclude Carlino, che «può contare su gruppi che si sono radicalizzati sul posto, su un’efficiente base logistica (auto, armi, coperture) che sfrutta i contatti con la criminalità locale, e su gente addestrata in Siria e Iraq in grado di coordinare azioni terroristiche a elevato impatto mediatico per fare il maggior numero di vittime».
LA STRATEGIA DEL CALIFFATO. Una prima conferma dell'esistenza di un network europeo di Isis «in grado di sostenere una campagna prolungata di attentati» era arrivata già il 19 marzo da un rapporto confidenziale del governo francese sugli attacchi parigini pubblicato dal New York Times.
Secondo il report, il braccio di Daesh che si occupa delle operazioni all’estero avrebbe iniziato a infiltrare in Europa i suoi combattenti - persone addestrate in Siria, capaci di confezionare ordigni con il Tatp, l’esplosivo usato a Parigi e Bruxelles, e di organizzare i gruppi incaricati di portare a termine gli attacchi - fin dalla fine del 2013, ben prima che venisse proclamato il Califfato.
IL CORRIDOIO BALCANICO.E a febbraio una testimone ascoltata dagli inquirenti francesi aveva rivelato di aver saputo da Abaooud che all’epoca in Europa Isis poteva già contare su 90 combattenti fatti arrivare dalla Siria lungo la rotta dei Balcani, area in cui l’organizzazione vanta importanti centri di reclutamento.
Stando alle stime più recenti, un quarto dei 5 mila foreign fighter europei partiti per la Siria proviene infatti da Kosovo, Bosnia Erzegovina, Macedonia e Albania.
Nella rete returnees, homegrown mujahidin e criminali comuni
Tra i 5 e i 7 mila europei hanno raggiunto Daesh.
Secondo informazioni in possesso della nostra intelligence il flusso di combattenti di ritorno dalla Siria non si è mai arrestato. E quella originaria rete descritta da Abaooud, benché decimata dalle morti e dagli arresti, ha continuato a ingrossarsi grazie a returnees (tra cui ci sarebbero anche diversi esperti di esplosivi), homegrown mujahidin – quasi sempre giovanissimi che si radicalizzano rapidamente attingendo alla propaganda dell’Isis sul web – e criminali comuni.
IL DEPISTAGGIO DI ABDESLAM. Come Salah Abdeslam, l’attentatore di Parigi catturato dalla polizia belga alla vigilia degli attacchi del 22 marzo. Gli inquirenti sperano possa aiutare a scardinare l’organizzazione.
Un compito arduo. Perché il network europeo che fa riferimento a Isis, riferiscono le medesime fonti, è organizzato in cellule orizzontali, in comunicazione con i vertici locali e con la casa madre solo via proxy, per rendere più difficile risalire la catena di comando. E perché, con il passare dei giorni, appare sempre più chiaro che l'iniziale, apparente disponibilità di Abdeslam a collaborare era con ogni probabilità una tattica per distogliere l'attenzione degli inquirenti belgi dagli imminenti attacchi a Bruxelles ai quali lui stesso avrebbe dovuto partecipare.
LE MODALITÀ DI FINANZIAMENTO. Anche seguire il flusso di denaro che alimenta le cellule potrebbe non servire.
Tra gli strumenti di finanziamento più usati c’è il ricorso a prestanome, società di copertura, operatori finanziari compiacenti, ma anche alle rapine e, in taluni casi, allo spaccio di droga.
In altri casi parte dei fondi raccolti con modalità lecite da associazioni caritatevoli e moschee può essere dirottata alle formazioni jihadiste da complici che operano al loro interno.
«Senza dimenticare», conclude Paolo Gonzaga, esperto di Medio Oriente, «canali informali come l’hawala (una sorta di lettera di cambio molto usata nel mondo arabo, ndr) e il trasferimento di fondi tramite carte di credito prepagate e moneta elettronica».
Tutti canali difficilmente tracciabili.