“L’Isis è un virus, una volta riconosciuti i sintomi chiamate le forze di sicurezza o i medici”
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A sostenerlo è Fahd Bin Jleid, opinionista del gruppo editoriale saudita “Al-Jazirah”
04/10/2015 MAURIZIO MOLINARI DA GERUSALEMME La Stampa
“Daesh non è solo un’organizzazione terroristica ma una malattia che si può diagnosticare, prevenire”. A sostenerlo è Fahd Bin Jleid, opinionista del gruppo editoriale saudita “Al-Jazirah”, secondo il quale bisogna trattare “Daesh” - acronimo arabo di Isis, lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi - come vero e proprio virus, “che si può riconoscere da sintomi psicologici e fisici” in maniera tale da far intervenire le forze di sicurezza o il personale medico “prima che sia troppo tardi”.
Proprio come fanno i dottori per curare i malati gravi. “Agenti, medici e ricercatori devono cooperare per identificare degli indicatori capaci di aiutare le famiglie ad identificare il bizzarro modo di pensare che porta i singoli ad aderire a Daesh” afferma Bin Jleid, secondo il quale le “luci rosse” da tener presenti sono “isolamento sociale, visita a siti Internet sospetti, dipendenza dai social network e bruschi cambiamenti di comportamento”. Poiché le forze di sicurezza “non possono seguire ogni singolo individuo identificando tali cambiamenti” l’appello è rivolto innanzitutto alle famiglie, affinché siano loro ad individuare gli “indicatori della deriva terrorista” allertando “personale medico e di sicurezza” chiedendogli di intervenire “prima che sia troppo tardi”. “Famigliari, parenti ed amici sono quelli che più possono evitare ad un loro caro di cadere nella trappola di Daesh - aggiunge l’opinionista - ed hanno una grande responsabilità nello scoprire cambiamento improvvisi di modi di fare, pensare, agire” prevedendo il contagio ideologico, l’adesione ad Isis e dunque “pericoli per un’intera famiglia o comunità”.
È interessante notare che tale approccio, incentrato sul ruolo di prevenzione che può essere svolto dalle famiglie, è assai simile ad una delle tattiche anti-terrorismo adoperate da Israele per stroncare la Seconda Intifada. Fra il 2002 ed il 2004 il controspionaggio israeliano avvicinò molte famiglie di kamikaze palestinesi per chiedere la loro collaborazione al fine di scongiurare la scelta del terrorismo da parte di uno o più parenti, soprattutto giovani.
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