e l’assedio alla Fed tengono alti i tassi lunghi. Dollaro più debole
13.9. 2025, 6:45 | di F. Galimberti e L. Paolazzi firstonline.info lettura8’
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LE LANCETTE DELL’ECONOMIA DI SETTEMBRE 2025 – Quanto sono preoccupanti i cedimenti nel mercato del lavoro americano? La crisi francese colpirà l’Eurozona intera? E come reagirà la Bce? La Fed abbasserà i tassi-guida – ma di quanto e per quanto tempo? I tassi a lunga saliranno ancora? Il dollaro continuerà a indebolirsi? L’uso improprio dell’arma dei dazi danneggerà le economie?
Le novità alla ripresa autunnale
Crepe, fratture e slanci. ….e i primi segnali di maggior slancio della crescita mondiale. Sullo sfondo rimangono le guerre così vicine, così barbariche, con coinvolgimento di nuovi territori e Paesi.
In Usa perde colpi la job machine…
Le crepe emerse negli ultimi due mesi nella creazione di nuovi posti di lavoro americani erano prevedibili: …e la grande incertezza creata con le tariffe aveva messo sul chi va là le imprese e fatto cadere la fiducia dei consumatori.
…ma il PIL accelera…
Così scarsi aumenti occupazionali nell’economia americana si sono avuti solo nei dintorni e durante le recessioni. Tuttavia, il PIL USA sta crescendo
….. Come è possibile che il mercato del lavoro peggiori così chiaramente se domanda e offerta accelerano?
Si possono avanzare tre ipotesi, che si integrano a vicenda. Le prime due sono statistiche: per l’occupazione sono disponibili due mesi su tre del trimestre estivo, mentre per i dati che nutrono le ... In altre parole, il mercato del lavoro era molto meno forte di quanto si pensasse, e quindi la sua frenata è meno vistosa.
… e gli occupati sono un indicatore ritardato
La terza ipotesi è economica: i dati occupazionali sono un indicatore ritardato del ciclo economico. Oggi l’occupazione va male perché l’economia è andata male in passato …. In effetti dai PMI emerge un’accelerazione che prelude a una ripartenza anche della creazione di occupazione.
I danni di DOGE e repressione degli immigrati
Quest’ultima, però, dovrà fare i conti con altri due fattori che sono intervenuti nel 2025 e che sono un grande ostacolo al ritorno a dinamiche robuste nella creazione di lavoro….
Il primo ostacolo sono i licenziamenti indiscriminati e massicci avviati … . E ciò peggiorerà i dati sia dei nuovi posti di lavoro sia dei sussidi di disoccupazione. Ma non possiamo considerare queste riduzioni occupazionali come un segnale di peggioramento dell’economia (semmai possono contribuire a peggiorarla, riducendo gli acquisti).
Il secondo ostacolo è la maggiore restrizione all’immigrazione, iniziata a metà 2024 da Biden per inseguire le promesse elettorali di Trump e culminata con gli arresti e le deportazioni dettate da quest’ultimo;
….anche in settori non direttamente colpiti dalla carenza di manodopera immigrata.
Infine, la relazione crescita-occupazione-crescita rappresentata nel grafico potrebbe inciampare nella fiducia dei consumatori, più bassa oggi rispetto a inizio anno…..
La Francia divisa al test del bilancio
Altrettanto prevedibile e atteso era il test della manovra di bilancio per il governo francese. Con un disavanzo che puntava al 6% del PIL il prossimo anno, dal 5,5% in questo, e il debito pubblico in ascesa al 119,1% nel 2026 (era al 109,7% nel 2023) … perfetta tripartizione dei seggi parlamentari tra destra, centro e sinistra è specchio di un Paese diviso e in crisi di visione e, ormai, anche di crescita.
Eurozona resiliente e con maggiore slancio
L’instabilità politica non aiuta certo la ripresa e infatti la Francia resta fanalino di coda nell’Eurozona,
Nel mondo ordini in solido aumento
Accelerazione che è in corso nell’economia mondiale tutta, grazie al tiraggio di India e USA, il risveglio della Cina e il buon andamento del Giappone. Gli ordini stanno aumentando a passo deciso, soprattutto nei servizi (53….
L’inflazione sale in USA per l’effetto-dazi…
L’inflazione USA ha iniziato a salire, ma meno rapidamente dell’atteso, dato il balzo dei dazi effettivi, dal 2,4% di inizio 2025 al 17,4% attuale… .
Inoltre, la diffusione dei rincari dei prezzi di vendita, così come riportata dalle indagini PMI, avrebbe spinto ancora più insù tale dinamica, fin verso il 5% secondo alcuni analisti….
Nel mondo pressioni normalizzate
In generale nel mondo le pressioni inflazionistiche sono normalizzate, nel senso che sono rientrate rispetto all’ondata del periodo pandemico e dello shock bellico-energetico….
Ciò è vero nel manifatturiero non meno che nel terziario…. In effetti, nei comunicati si legge di frequente che le imprese indicano nell’aumento dei salari un fattore importante delle maggiori spese sostenute. E non solo in USA.
Non ovunque riescono a trasferire ai clienti i rincari a monte, essendo il potere di fare i prezzi funzione delle condizioni di domanda. Nell’Eurozona, per esempio, questo trasferimento è assai più difficile che in India, USA o UK.
Le materie prime restano fredde
In ogni caso, è evidente che ovunque la dinamica salariale rimane più sostenuta che prima della pandemia, e le barriere all’immigrazione la terranno su.
Per intanto, invece, le dinamiche dei corsi delle materie prime rimangono contenute. Eccetto quelle delle commodity più direttamente impiegate nel boom dei data center che servono per l’AI, che assorbono una enorme quantità di energia elettrica….
I tassi scendono, ma…
Non succede spesso che una notizia dell’economia reale abbia così forti ripercussioni sull’economia finanziaria. Ma è successo con i dati del mercato del lavoro Usa, che hanno portato a uno spostamento verso il basso dell’intera curva dei rendimenti americana – e non solo americana. Perché questa sensitiva volatilità è così aumentata?
La ragione sta nel fatto che è aumentato il grado di incertezza, sia per le grandezze reali che per quelle della finanza. Così, con bicchieri mezzo pieni e mezzo vuoti, ogni stormir di dati che faccia spostare anche di poco la linea mediana del galleggiamento, porta a variare più che proporzionalmente il giudizio sul futuro.
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Fino a poco tempo fa era di moda dire – e lo abbiamo detto anche noi – che è possibile e probabile che scendano i tassi a breve ma non quelli a lunga. E questo perché i tassi a lunga riflettono le preoccupazioni sui deficit di finanza pubblica e su un’inflazione sospinta dai dazi.
Perché, allora, le cattive notizie sulla creazione di posti di lavoro in America hanno fatto scendere anche i tassi a lunga? La spiegazione si biforca: da una parte, i tassi a lunga non sono che una successione dei tassi a breve di qui a più in là nel tempo; e quindi, se quelle crepe nel mercato del lavoro (un mercato che descrive il secondo mandato della Fed, la “massima occupazione”) si allargano, pioveranno altre riduzioni dei tassi-guida. Dall’altra parte, gli allargamenti delle crepe presagiscono stagnazione o recessione dell’economia, e questa è un’altra ragione di riduzione dei tassi lunghi, che tipicamente calano quando l’economia va male perché si riduce la domanda di credito a lungo termine.
Certamente, se volessimo scendere per li rami dei colpi e dei contraccolpi, si potrebbe obiettare che un’economia in affanno fa aumentare il deficit pubblico (meno entrate e più spese di sostegno al reddito), e i tassi a lunga dovrebbero tener conto di accresciute domande di finanziamento di un disavanzo già immane. Ma è inutile cercare di render conto razionalmente delle viscerali reazioni dei mercati, che già nuotano a fatica nel “gran mar dell’essere”, barcamenandosi fra i dati e i dazi, fra la spigolosa stenografia delle statistiche e le esternazioni del volubile inquilino della Casa Bianca. Basti dire che i deficit pubblici sono destinati a rimanere alti e crescenti, sia in America che in Europa (per ragioni in parte diverse), e questo vuol dire che i tassi lunghi – a 10 e 30 anni – rimarranno in tensione. I tassi a breve, invece, saranno in discesa, più in Usa che in Europa, data la fatica delle economie.
L’assedio della Casa Bianca alla Fed continua e, dato che l’economia americana segnala barlumi di stagnazione mentre l’economia europea rivela barlumi di risveglio, altre riduzioni dei tassi Fed, dopo quelle incombenti, sono possibili e probabili, malgrado l’inflazione che permane ben al di sopra dell’obiettivo del 2%. La Bce, che ha un mandato singolo – l’inflazione – non deve temere alcunché dalla dinamica dei prezzi, che rimane sotto controllo. Sulle sue decisioni – dopo la pausa dell’11 settembre – peseranno sia gli sviluppi dell’economia – ancora debole, malgrado i barlumi – sia il pericoloso dipanarsi della crisi francese. Ambedue i fattori volgono a favore di ulteriori allentamenti.
Per i nostri BTp, le notizie sono buone. Lo spread con il Bund è sceso sotto quota 80, e anche con i Bonos è diminuito ancora. Non ci possiamo vantare della parità raggiunta con i rendimenti dei titoli francesi, perché è più demerito loro che merito nostro…
Il dollaro è debole e tale rimarrà
La debolezza del dollaro non è temporanea. Qualsiasi scenario di riduzione del deficit commerciale americano – uno obiettivo irrinunciabile della Presidenza Trump – ha come ingrediente altrettanto irrinunciabile un dollaro debole. Dopo la luna di miele post elezione di Donald Trump, quando sembrava che l’America tutta – economia, dollaro, Borsa… – fosse avviata verso magnifiche sorti e progressive, il principio di realtà ha ripreso il sopravvento.
I record (strani) dei mercati azionari
Le magnifiche sorti e progressive si sono tuttavia realizzate in quel segmento della realtà che sono i mercati azionari. Wall Street macina nuovi record. La cosa strana, tuttavia, è che nuovi record storici sono macinati anche nelle Borse del resto del mondo, e anzi, come si vede dal grafico, sono ancora più record di quelli della Borsa Usa. E la cosa è strana per due motivi. Primo, l’America ha colpito con i dazi il resto dell’universo mondo, e a prima vista (e anche a seconda vista) il duro colpo avrebbe dovuto danneggiare le economie degli altri Paesi e avvantaggiare quella Usa (Make America Great Again). La seconda ragione è che, per unanime consenso, le quotazioni di Wall Street sono state portate in alto dai prezzi delle ‘Magnifiche Sette’ e dalle prospettive dell’IA: due fattori, questi, che influenzano positivamente e in particolar modo il mercato azionario Usa. Allora, perché le Borse del resto del mondo sono salite più di quelle americane?
Forse la risposta sta nel perdurante differenziale di crescita: nel primo semestre l’economia Usa è cresciuta a tassi dell’uno virgola, quella del resto del mondo nettamente di più, malgrado i dazi. Forse perché la saga dei dazi non ha poi fatto tanti danni (per ora…); come ha scritto Eugenio Montale: “La storia non è poi la devastante ruspa che si dice: lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli, c’è chi sopravvive…”. E, se ha fatto danni, ne ha fatto soprattutto agli Stati Uniti (della serie ‘darsi la zappa sui piedi’). Forse perché la politica monetaria ha mantenuto (giustamente, date le incertezze sull’inflazione) una postura restrittiva in America, mentre negli altri Paesi c’è stato un allentamento. Forse… – confessiamolo, se ci sono altre spiegazioni non ci sono chiare. Wait and see…
In questo contesto di incertezza, da un lato, di inflazione che resta testardamente alta, dall’altro, di venti di guerra e riarmi, dall’altro ancora, e di debolezza strutturale del dollaro senza che ci sia una chiara alternativa valutaria, infine, l’oro torna a essere moneta (non solo bene) rifugio e la sua quotazione macina record. Poiché le condizioni elencate non sono destinate a venir meno, altri record verranno.
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Pubblicato in: Economia e ImpreseTag: Dazi, Inflazione, Lancette dell'economia, materie prime, Tassi
Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi
Fabrizio Galimberti, romano, classe 1941. Bocconiano, ha studiato alla Columbia University di New York, ha insegnato Scienza delle Finanze a Roma e a Ferrara. Poi ha lavorato al Dipartimento di Economia dell’Ocse. A Roma, consigliere economico al Tesoro, con Beniamino Andreatta e con Giovanni Goria. In seguito Chief Economist della Fiat e infine editorialista del Sole-24 Ore. Luca Paolazzi, Economista, advisor di Ceresio investors. Dall'ottobre 2007 al febbraio 2018 ha diretto il Centro Studi Confindustria. Dal settembre 1986 al settembre 2007 ha lavorato a Il Sole 24 Ore, arrivando a coordinare gli editoriali. Dal marzo 1984 all'agosto 1986 è stato economista all'Ufficio studi FIAT. Autore di numerose pubblicazioni di economia, ha vinto i premi Q8, Brizio e Lingotto per il giornalismo economico.