La rottura con Musk dimostra che neanche donargli 250 milioni e mettere a sua disposizione un social network è sufficiente
Francesco Cundari 7 Luglio 2025 linkiesta.it lettura 2’
Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha spiegato ieri alla Cnn che nei prossimi giorni Donald Trump invierà una lettera a circa cento paesi, in cui chiarirà che, in mancanza di un accordo, il primo agosto i dazi torneranno ai livelli annunciati il 2 aprile nel famigerato «Liberation Day». Quindi, per spiegare come funziona il gioco, ha fatto l’esempio dell’Europa: «Abbiamo visto che la Ue è stata molto lenta a sedersi al tavolo delle trattative. Tre settimane fa, un venerdì mattina, il presidente Trump ha minacciato dazi del 50 per cento. Nel giro di poche ore cinque leader nazionali europei hanno chiamato e Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea, era al telefono. L’Ue sta facendo ottimi progressi, dopo avere iniziato lentamente».
Un ottimismo non condiviso dai vertici dell’Unione europea. Tutti i giornali da tempo raccontano la disperazione dei negoziatori e lo smarrimento dei leader, al di là delle dichiarazioni di facciata. In compenso, Giorgia Meloni continua a ripetere a ogni occasione di avere appena parlato con Trump e di essere fiduciosa, sia per quanto riguarda il sostegno all’Ucraina, sia per quanto riguarda i dazi (su cui però negli ultimi tempi è tornata a sottolineare con maggior frequenza che si tratta di una competenza europea).
Ma a quale gioco stia giocando Meloni nel rapporto con Trump e l’Unione europea è tutto da vedere. Resta il fatto che pure un leader su cui non grava il sospetto di alcuna ambiguità politica come il cancelliere tedesco Friedrich Merz è stato finora, accanto alla nostra presidente del Consiglio, tra i maggiori fautori della linea morbida nelle trattative con gli Stati Uniti. Linea che si è tradotta in più occasioni in una plateale dimostrazione di debolezza, implacabilmente sottolineata dalle derisorie parole del segretario al Tesoro americano.
Personalmente, ho una sola parola da dire a tutti i leader europei apparentemente convinti di potersi accattivare le simpatie o quanto meno la non ostilità di Trump prendendolo con le buone, cioè attraverso un accorto miscuglio di concessioni, manipolazione e adulazione. Anzi, due: Elon Musk. Anche lui, senza alcun dubbio, era convinto di essere riuscito ad assicurarsi la sua benevolenza. Non conta adesso da che parte stiate nello scontro che si è improvvisamente riaperto tra il presidente e il suo principale finanziatore, né quale interpretazione diate della genesi, delle ragioni e dei possibili esiti del duello.
I fatti incontrovertibili sono che il famigerato Big Beautiful Bill, la legge di bilancio trumpiana contro cui l’uomo più ricco del mondo si è scagliato furiosamente, fino ad annunciare questo fine settimana la fondazione di un nuovo partito, contiene una serie di tagli e revisioni al sistema di incentivi alle auto elettriche tali da rappresentare un colpo micidiale per Tesla, l’azienda di Musk. Dunque, quello che vorrei chiedere ai solerti lisciatori europei di Trump è: più che donare 250 milioni di dollari per la sua campagna elettorale, comprare un intero social network per metterlo interamente al servizio della sua propaganda, dichiarare pubblicamente di amarlo «quanto un uomo eterosessuale può amare un altro uomo», cosa pensate di poter fare, esattamente, per ingraziarvelo? Pensate davvero che basti chiamarlo «paparino»?