Nel frattempo, nel 2005, Israele attuò il ritiro unilaterale da Gaza, smantellando 21 insediamenti e dislocando oltre 9.000 coloni israeliani
Rodolfo Belcastro 24 Maggio 2025 alle 11:34 ilriformista.it
Nel vortice di accuse, appelli internazionali e narrazioni spesso parziali che dominano il discorso sulla questione israelo-palestinese, esiste una costante: l’idea secondo cui la pace in Medio Oriente sarebbe possibile se solo Israele accettasse di creare uno Stato palestinese. È un presupposto ricorrente nei corridoi diplomatici, nei media e nelle aule universitarie occidentali. Ma è anche una narrazione che resiste alla realtà dei fatti. Quello che molti ignorano è che Israele ha già offerto uno Stato ai palestinesi almeno cinque volte nel corso del Novecento e dei primi anni Duemila, e ogni volta si è scontrato con un rifiuto. Non un rifiuto negoziale, ma un rifiuto esistenziale: il rigetto stesso dell’idea di uno Stato ebraico.
La creazione di due stati
Tutto comincia con la Commissione Peel, istituita dal governo britannico per indagare sulle tensioni tra arabi ed ebrei nella Palestina mandataria. La soluzione proposta fu pionieristica: la creazione di due Stati, uno arabo e uno ebraico. Agli arabi veniva destinato l’80% del territorio, agli ebrei un’esigua striscia di terra. I sionisti accettarono, pur tra mille perplessità. Gli arabi respinsero la proposta e ripresero la rivolta. Dieci anni dopo, la Risoluzione 181 dell’Onu ribadiva l’idea della doppia sovranità: uno Stato arabo e uno ebraico. Ancora una volta gli ebrei dissero sì, mentre gli arabi risposero con la guerra. Le truppe di Egitto, Siria, Libano, Transgiordania e Iraq invasero Israele il giorno dopo la sua nascita ufficiale: il 15 maggio 1948. Dopo la Guerra dei Sei Giorni, in cui Israele prese il controllo di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, il governo israeliano discusse internamente se restituire i territori in cambio della pace. Ma la risposta arrivò chiara dal vertice della Lega Araba a Khartoum: “No alla pace, no al riconoscimento, no ai negoziati”. Israele restituì comunque il Sinai all’Egitto dieci anni dopo, nel quadro degli Accordi di Camp David del 1978, ma con i palestinesi, ogni apertura fu ignorata o boicottata.
Nel luglio del 2000 il premier israeliano Ehud Barak offrì a Yasser Arafat uno Stato palestinese su oltre il 94% della Cisgiordania, tutta Gaza, e con capitale a Gerusalemme Est. Mai prima di allora un’offerta era stata così ampia. Non solo Arafat rifiutò: al suo rientro scoppiò la seconda Intifada, con una feroce ondata di attentati suicidi nelle strade di Israele. Nel 2008 fu Ehud Olmert a rilanciare. La sua proposta andava ancora oltre quella di Barak: scambi di territorio per compensare gli insediamenti, controllo congiunto sui luoghi sacri di Gerusalemme, ritorno parziale dei rifugiati palestinesi. Il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, non rispose mai ufficialmente.
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Il ritiro di Israele da Gaza
Nel frattempo, nel 2005, Israele attuò il ritiro unilaterale da Gaza, smantellando 21 insediamenti e dislocando oltre 9.000 coloni israeliani. In cambio della rinuncia totale al territorio, non ricevette pace, ma missili. Gaza fu conquistata da Hamas, che trasformò la Striscia in una base di lancio terroristica. Gli investimenti in infrastrutture si trasformarono in tunnel per il contrabbando e l’attacco. Una domanda che resta sospesa: oggi, come nel 1937, nel 1947, nel 1967, nel 2000 e nel 2008, la questione non è territoriale, ma identitaria. Israele è disposto a condividere la terra. I vertici palestinesi sono disposti a condividere l’esistenza? Lo storico David Brog osserva: “Ogni volta che Israele ha detto sì a uno Stato palestinese, i palestinesi hanno risposto con un no”. Se davvero si vuole la pace, è tempo di invertire la narrazione: non si deve chiedere a Israele nuove concessioni, ma ai palestinesi un primo, storico “sì” alla convivenza.
Cos’è Israele oggi
Israele è una democrazia, uno Stato di diritto, e l’unico Paese del Medio Oriente dove cristiani, musulmani, ebrei e drusi convivono sotto la stessa legge. È lo Stato nazionale del popolo ebraico, e il solo Stato ebraico al mondo. In un’epoca in cui l’antisemitismo torna a minacciare le democrazie, il dovere dell’informazione non è quello di appiattirsi sull’opinione dominante, ma di restituire complessità. E una verità spesso scomoda: la pace non si costruisce su slogan, ma su verità e responsabilità reciproche.
Rodolfo Belcastro