L'intervista Mancini: “Il Qatar ha pagato i tunnel di Hamas, l’aereo regalato a Trump la Cia lo dovrà smontare ed esaminare pezzo a pezzo”

Categoria: Estero

L’operazione dimostra che le istituzioni ci sono, ma anche che in Italia è operativa una rete di agenti russi che fa un po’ quello che vuole».

Aldo Torchiaro 23 Maggio 2025 alle 11:11 ilriformista.it lettura4’

Marco Mancini, per anni ai vertici dell’Aise e poi del Dis, è stato a capo del controspionaggio italiano. Non fa mistero di come la sua rete, da Washington al Medio Oriente, continui a tenerlo informato.

Ieri la Procura di Milano ha condannato a tre anni e due mesi l’autore della fuga del magnate russo Artem Uss che era agli arresti domiciliari a Basiglio, Milano, in attesa dell’estradizione negli Stati Uniti.

«Mi congratulo con la Polizia giudiziaria che ha identificato gli autori e con il Procuratore di Milano che ha condannato in tempi rapidi. L’operazione dimostra che le istituzioni ci sono, ma anche che in Italia è operativa una rete di agenti russi che fa un po’ quello che vuole».

Operativa ancora oggi?

«Mosca sta mantenendo una rete di agenti segreti russi che in tutta Europa si fa molta difficoltà a individuare. La capacità di esfiltrare una persona agli arresti domiciliari, con tanto di sorveglianza degli organi preposti, denota una attività operativa, logistica, strategica notevole, forte di agganci in Italia. Hanno reclutato, studiato e portato via indisturbatamente Artem Uss: più operativi di così!»

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Ci sono altre cellule di intelligence ostili operative in Italia, per esempio iraniane? Quegli stessi iraniani che hanno addestrato gli operativi dei massacri del 7 ottobre?

«La presenza in Italia di persone riconducibili all’intelligence iraniana è accertata e costante. Anche perché a Roma c’è il Vaticano. E c’è un’ambasciata iraniana presso la Santa Sede che è una struttura molto composita…»

Cosa intende dire, per struttura composita?

«Diciamo che analizza in maniera molto dettagliata i movimenti di chi non la pensa come loro».

Le sedi diplomatiche israeliane sono più a rischio oggi in Italia, in Europa?

«Dal 7 ottobre a oggi le sedi diplomatiche e le sedi ebraiche in generale, in tutta Europa e dunque in Italia, sono oggetto di maggiore attenzione».

Da parte di chi?

«Soprattutto da parte delle cellule di Hamas e di Hezbollah, emanazioni operative dell’Iran che per constituency devono attuare ogni azione ostile a Israele e utile all’eliminazione del mondo ebraico nel suo complesso. In Italia i nostri organismi negli ultimi anni hanno ulteriormente stretto la vigilanza sugli obiettivi ebraici, ma ci sono manifestazioni che agevolano un clima di odio generale. Da qui alle pistole che spuntano, ce lo dice la storia italiana degli Anni di piombo, il passo è breve. Talvolta brevissimo».

Lei si è occupato da vicino anche di terrorismo interno…

«E quelle dinamiche me le ricordo bene, con le proteste nate all’università che si fecero via via più violente. Il clima di antisemitismo di questo periodo però è inedito. Ci sono i social fuori controllo, spuntano i cartelli davanti ai negozi di Milano per impedire agli ebrei di entrare. Cose mai viste prima».

Frutto di una campagna di disinformazione internazionale?

«E di interessi precisi, dietro a quella campagna. Il Qatar ha finanziato la costruzione di tutti i 732 chilometri di tunnel nei quali rimangono ancora sequestrati dei cittadini israeliani. Iran e Qatar alimentano Hamas in continuazione con tante armi e tanto denaro che per molti giovani e giovanissimi palestinesi abbracciare la lotta armata è un automatismo quasi irrinunciabile».

Lo stesso Qatar che ha regalato l’aereo a Trump?

«Non so se quel regalo – che la Cia dovrà smontare ed esaminare pezzo a pezzo – provenga dalla stessa struttura. Il Qatar gioca su più tavoli».

E sotto ai tavoli. Quanti ostaggi israeliani rimangono in quei tunnel?

«Sono 53 gli ostaggi che mancano all’appello, 17 o 18 sono vivi. Se Hamas, o i suoi padroni, volessero davvero la pace potrebbero ottenerla in poche ore, liberandoli. Rilascino tutti gli ostaggi vivi, consegnino i corpi dei morti: farebbero un gesto che costringerebbe Israele a ripensare tutte le sue iniziative».

E però i danti causa di Hezbollah e Hamas non lo consentiranno. A loro serve tenere alta la tensione.

«Abbiamo quarantamila nuovi miliziani armati, negli ultimi tempi. E fermare la spirale di violenza non conviene a chi si mantiene al potere con la forza dell’odio. Nei documenti rinvenuti pochi giorni fa, il commando del 7 ottobre scriveva nero su bianco di dover agire in fretta per scongiurare la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita. Ogni volta che la pace si avvicina, torna la violenza armata contro Israele».

L’attentato a Washington va nello stesso segno. Che idea si è fatto, con le informazioni che ha avuto?

«Mi sono fatto l’idea di una operazione da professionisti. C’è stata una attività di intelligence, sul posto, per studiare le persone, gli orari, la logistica di fuga. È stata fatta una inchiesta sui target, preparata per tempo. Lo dimostra il fatto che siano state uccise due persone precise, due diplomatici israeliani uniti tra loro anche dalla speranza di dare a Israele un futuro di pace. Nel caso di Washington l’attentato è stato troppo preciso per risultare slegato da una dinamica professionistica. Una operazione riconducibile, in ipotesi, a una potenza ostile a Israele».

Vede l’ombra di una pistola fumante ben precisa?

«Vedo un collegamento tra la reazione di Hamas, se guardiamo alle ultime parole del suo portavoce, Abu Obaida, e questo duplice omicidio. Non era facile individuare due profili particolari come quelli uccisi a Washington. Ci deve insegnare che deve aumentare la sicurezza rispetto agli obiettivi sensibili, ma deve cambiare anche l’atteggiamento culturale di chi guarda con troppo disinvoltura a una campagna di odio antiebraico così ben organizzata».

Aldo Torchiaro