Che tetra fine, la rissa Obama-Putin
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Con la sua mossa brutale anti Russia, Obama vuole complicare il rapporto tra Trump e i repubblicani
di Paola Peduzzi 31 Dicembre 2016 Foglio
Milano. Con il suo ordine esecutivo contro la Russia – sanzioni ai servizi di intelligence ed espulsioni di diplomatici – il presidente uscente americano, Barack Obama, getta la palla dei rapporti con Mosca nel campo del Congresso, a maggioranza repubblicana, oltre che del suo successore, Donald Trump, presidente eletto.
Mancano venti giorni all’Inauguration day (sulla cui organizzazione ieri i fedeli trumpiani di Breitbart hanno scritto un lungo resoconto): perché Obama ha deciso di muoversi adesso?
Al di là delle analisi sulla transizione più complicata di sempre, Obama vuole mettere la politica di Trump di fronte al vaglio del Congresso, che sulla questione russa è straordinariamente critico nei confronti del “proprio” presidente. Lo speaker della Camera, il repubblicano Paul Ryan, ha detto che le sanzioni sono “tardive”, ma “rappresentano un modo appropriato per mettere fine a otto anni di politica fallimentare nei confronti della Russia”.
Ryan non risponde però alla domanda (decisiva): sosterrai una legge che impedisca a Trump di ritirare le misure sanzionatorie? Il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, dice che le sanzioni “sono un buon inizio, pure se in ritardo” e aggiunge: “Il prossimo Congresso analizzerà le azioni russe contro network associati alle elezioni americane, ma dobbiamo anche far sì che a ogni attacco contro gli Stati Uniti sia data una risposta decisa”. I senatori-falchi John McCain e Lindsey Graham, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta annunciando la loro volontà di fare pressioni sul Congresso per imporre sanzioni più forti contro la Russia”.
Significativo in questo senso è quel che ha detto John Bolton, l’ex ambasciatore americano all’Onu che è stato preso in considerazione da Trump per la sua Amministrazione: le sanzioni di Obama sono insufficienti contro “un attacco al nostro sistema costituzionale”. Non avranno un grande impatto, sostiene Bolton, e anzi sono l’ultimo passo incerto di una “performance patetica”, quella di Obama, che ha permesso ai russi di fare quel che pareva a loro per otto anni. Ma il punto, secondo Bolton, è che “è necessario andare oltre la politica su questa questione, perché se soltanto una piccola parte di quel che viene rimproverato alla Russia è vero, è del tutto inaccettabile”.
S’è detto che Bolton era stato scartato perché a Trump non piacevano i suoi baffi (!), ma forse ancora una volta è stata la questione russa a pesare sulla decisione. Trump ha compreso bene la resistenza dei repubblicani e pur dicendo che è arrivato il momento di occuparsi di “cose più belle e più importanti” aggiunge che si farà dare i report dall’intelligence per valutare il da farsi.
Mentre i russi gli allungano la mano – scrivendo al contempo necrologi per Obama, come ha fatto il premier Dmitri Medvedev – il presidente eletto ha già modificato la sua posizione nei confronti di Mosca: se ha a lungo negato ogni possibilità di cyberattacco da parte della Russia durante la campagna elettorale, nell’ultimo periodo Trump e il suo team hanno mostrato una certa predisposizione ad accettare indagini sul ruolo di Mosca nelle elezioni.
Dall’altra parte però Trump coltiva il rapporto personale con Putin – e ha fatto nomine, soprattutto al dipartimento di stato, molto filorusse – e conta sul rapporto personale per superare le ostilità. Come spesso sta accadendo in queste nuove dinamiche interne americane e geopolitiche, è l’Europa a trovarsi nella posizione più delicata. Il segnale di Obama è chiaro per il pubblico continentale: le interferenze russe hanno già condizionato le elezioni americane, state attenti voi europei che al voto ci andate adesso.
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