La piazza contro Trump mostra l’ipocrisia dei sinceramente democratici

Vip e gente normale e tante donne si sono assiepati nei luoghi del trumpismo, a New York ai piedi della Trump Tower gridando Trump se ne deve andare, impeach Trump, non è il mio presidente, cacciamolo. Perché la piazza del rimpianto è diventata un classico del giorno dopo

di Redazione | 11 Novembre 2016 ore 06:21 Foglio

Mercoledì sera nelle grandi città americane s’è protestato contro l’elezione di Donald Trump. Manifestazioni anche corpose contro il voto del giorno precedente – voto sconvolgente ma voto, appunto, espressione del popolo della più grande democrazia d’occidente. Vip e gente normale e tante donne si sono assiepati nei luoghi del trumpismo, a New York ai piedi della Trump Tower (poco lontano da lì, nei Strawberry Fields di Central Park dedicati a John Lennon c’era per terra, sotto la pioggia, un cartello con scritto “peace” e di fianco una maglietta con scritto “not my president”) gridando Trump se ne deve andare, impeach Trump, non è il mio presidente, cacciamolo. Bambine cantavano inni antitrumpiani, io non voto ma sono contro, e molti ripetevano la melodia e facevano il passaparola. La polizia è anche dovuta intervenire in alcune parti, perché la gente non si spostava, e muoversi era diventato un inferno, ma la protesta doveva continuare: questo non è il nostro presidente! Così in un attimo s’è ribaltato tutto: era Trump il contestatore, che non accettava il risultato delle elezioni, che diceva che tutto è corrotto e che minacciava proteste – dipinte nei giornali come rivolte di contadini con i forconi – di fronte alla sua sconfitta. Trump invece è il 45esimo presidente degli Stati Uniti e i moderatissimi, democraticissimi elettori di Hillary Clinton scendono in piazza contro di lui, ma in realtà contro la democrazia. Difensori della democrazia improvvisamente antidemocratici perché la democrazia non ha prodotto il presidente che piace a loro.

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La piazza del rimpianto è diventata un classico del giorno dopo, accadde a Londra in modo identico: due giorni dopo la vittoria della Brexit s’è riempita Trafalgar Square, tutti gridavano rivotiamo rivotiamo rivotiamo, la Brexit non la vogliamo. Il rimpianto non va più in piazza, a Londra, perché il tempo passa e i sistemi democratici iniziano ad assorbire gli choc, ma comunque ci sono tutte le istituzioni – tranne il governo – che provano a ribaltare il risultato del voto del popolo, o almeno a contenerne gli effetti. E per molti questa azione non è nemmeno sufficiente: non basta un normale dialogo tra le varie parti in causa, vogliono un secondo referendum, adesso, subito. E’ chiaro che in Inghilterra come in America non si protesta solamente contro la Brexit e contro Trump, ma contro i loro elettori, un po’ bifolchi, un po’ troppo irosi, vecchi e nostalgici di un passato in cui si sentivano importanti e protetti, e adesso non lo sono più. Ma ecco, si può essere in disaccordo con Trump, si può essere scettici sul fatto che possa essere un buon presidente, ma prima di protestare contro di lui bisognerebbe vedere che cosa fa. Ora la piazza dimostra che la democrazia è bella soltanto se quelli del Midwest se ne stanno a casa.

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