Il Congresso degli Stati Uniti spiegato a chi pensa che Trump distruggerà il mondo
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I poteri del Presidente sono indicati in Costituzione e un Congresso forte e autorevole potrà sempre rappresentare un argine invalicabile a qualsiasi forma di bizzarria presidenziale. Pesi, contrappesi e dialettica fra Legislativo ed Esecutivo
Sessione del Congresso degli Stati Uniti a Capitol Hill, Washington D.C ( Foto LaPresse)
di Rocco Todero | 10 Novembre 2016 ore 17:29
Toccherà adesso al Congresso degli Stati Uniti d’America e al partito Repubblicano, in maggioranza in entrambe le Camere, il compito di assicurare che la Presidenza Trump s’incammini placida e tranquilla dentro l’alveo della normalità istituzionale.
La Costituzione degli Stati Uniti d’America, infatti, assegna al Congresso le principali competenze per mezzo delle quali si configura l’indirizzo politico generale del Governo federale e attribuisce al Presidente invece la guida dell’esecutivo.
Dal 1787 in poi i rapporti fra Presidenza, Camera dei rappresentanti e Senato degli Stati Uniti, hanno subito notevoli mutamenti in considerazione del carattere della leadership del Capo dell’esecutivo, cosicché la volontà dell’uno o degli altri è prevalsa a seconda della misura dell’autorevolezza e del favore popolare che ciascuno ha potuto far valere, di volta in volta, sul piatto della bilancia delle contrattazioni politiche. D’altronde la caratteristica del sistema americano è quella di articolare un confronto dialettico fra due organi (Presidente e Congresso) che possono vantare entrambi una diretta investitura popolare.
I poteri del Presidente, tuttavia, sono quelli tassativamente indicati nella Costituzione ed un Congresso forte e autorevole potrà sempre rappresentare un argine invalicabile a qualsiasi forma di bizzarria presidenziale.
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La funzione legislativa, per cominciare, spetta al Congresso.
All’organo collegiale è consentito superare il veto che il Presidente degli Stati Uniti può porre su ogni singola legge a condizione di riapprovarne il testo con la maggioranza qualificata dei due terzi. Il veto presidenziale si è dimostrato negli ultimi decenni uno strumento molto efficace per orientare la funzione legislativa poiché pochissime volte il Congresso ha deciso di riadottare la legge respinta dal Presidente.
Il Capo dell’esecutivo è persino privo del potere di iniziativa legislativa e può chiedere al Congresso l’approvazione di un disegno di legge esclusivamente tramite deputati o senatori a lui vicini (l’Obamacare dovrà essere cancellato dal Congresso e non sarà sufficiente la volontà del neo Presidente Trump per eliminarlo dall’ordinamento giuridico). La competenza di entrambe le camere in materia legislativa è pertanto fuori discussione e ad essa si riconduce anche il cosiddetto “potere della borsa”, considerato che l’apparato governativo guidato dal Presidente non può spendere un solo dollaro che non sia stato stanziato previa approvazione della legge di bilancio, di competenza esclusiva del Congresso.
Al Senato spetta poi il potere di convalidare quasi tutte le nomine dei collaboratori del Presidente (segretari di dipartimento e ambasciatori compresi), dei più importanti funzionari governativi (alcune migliaia) e dei giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. Sebbene siano stati solo nove i segretari di dipartimento respinti dal Senato nel corso della storia del Paese e pochi altri i casi in cui la nomina presidenziale è stata ritirata prima del voto parlamentare, questi episodi con-fermano il concreto potere d’interdizione che può essere opposto al Presidente degli Stati Uniti. Nel 1987 il Senato respinse la proposta di nomina alla Corte Suprema di Robert Bork da parte del Presidente Reagan perché il giudice designato fu ritenuto interprete troppo “originalista” (e quindi conservatore) della Costituzione. Nel 2005 la stessa Camera costrinse il Presidente Bush a ritirare una designazione alla Corte Suprema poco gradita dagli stessi conservatori.
Il Presidente degli Stati Uniti condivide con il Senato anche le competenze in materia di relazioni estere, atteso che è il Capo dell’esecutivo che stipula i trattati internazionali che non possono tuttavia entrare in vigore se non prima dell’approvazione del Senato con i due terzi dei voti. In quest’ambito è invalsa la prassi di rafforzare i poteri presidenziali grazie agli executive agreements che impegnano il Governo ma non richiedono la deliberazione del Senato. Ma i trattati bilaterali di natura commerciale, ad esempio, secondo la lettera della sezione otto dell’articolo 1 e della sezione 2 dell’articolo della Costituzione, non possono avere efficacia nell’ordinamento giuridico statunitense senza l’approvazione del Senato.
Il Presidente, infine, è per espresso dettato costituzionale il comandante in capo dell’esercito e del-la Marina degli Stati Uniti ma la dichiarazione di guerra e il finanziamento delle operazioni belliche sono competenze esclusive del Congresso. Quest’ultimo, nel 1973 con il War Powers Resolution volle chiarire a Nixon che la decisione di imbarcare il paese in una guerra e di proseguirla spetta alle due Camere e quando il Presidente oppose il veto ritenendo lesa una prerogativa del capo del governo, deputati e senatori approvarono nuovamente il provvedimento con la maggioranza dei due terzi. I poteri di guerra sono rimasti nel corso del tempo al centro della dialettica istituzionale fra il Presidente degli Stati Uniti ed il Congresso anche in considerazione del fatto che il paese in molte occasioni è rimasto coinvolto in operazioni militari senza l’espressa approvazione delle Ca-mere. L’uso della forza militare in Somalia, in Bosnia Erzegovina e in Kossovo, ad esempio, non è stato preceduto da alcuna autorizzazione congressuale perché ritenuto legittimo sulla base delle sole risoluzioni ONU e NATO, mentre di recente il Presidente Obama, pur non ritenendolo costituzionalmente necessario, ha richiesto il voto del Congresso per l’azione militare contro il regime siriano in risposta all’uso delle armi chimiche.
Resta il fatto, in definitiva, che quanto più il Congresso degli Stati Uniti è capace di rivendicare il ruolo e le prerogative che la Costituzione gli assegna, tanto meno il Presidente potrà indossare i panni di un moderno monarca eletto democraticamente. A maggior ragione nell’epoca della Presidenza di Donald Trump.