E’ la democrazia, stupido
- Dettagli
- Categoria: Estero
Il colpo è duro, ma non sarà un referendum a mettere l’isola alla deriva
di Giuliano Ferrara | 25 Giugno 2016 ore 06:18 Foglio
There will always be an England, un’Inghilterra ci sarà sempre. Decodificazione ottimistica: si va avanti, non sarà un referendum a spiantare l’isola e a metterla alla deriva, isolando il continente dalle sue rive fatali. Decodificazione effettiva: ma quanto sono eccentrici, con quanta grazia democratica, e quanto clamore politico, i britannici hanno deciso di dare sfogo, loro che ne sono stati al centro con la grande Londra, alle paure indotte dalla globalizzazione. Padroni a casa nostra: come si scrive bossismo in inglese? 52 a 48 è un risultato chiaro, non servono particolari doti di fair play per interpretarlo. Tre quarti dei giovani hanno votato per l’Europa, ma non sono bastati, né loro né il 60 per cento dei londinesi. Il paese profondo cosiddetto, la Little England o Middle England, ha dato al leave le risorse elettorali necessarie. E pensare che molti di quei luoghi non hanno visto nemmanco un immigrato in carne e ossa. Ma è fatta, e ora con ordine e temperamento bisogna prendere atto, stabilizzare, negoziare l’uscita. Cameron è out, come il Regno Unito, ma per tre mesi ancora servirà letteralmente il paese come primo ministro di sua Maestà per arginare l’ondata di panico che ha colpito a tutta prima i mercati finanziari e attutire il trauma di una nazione divisa dal mito dell’indipendenza ritrovata (Nigel Farage).
ARTICOLI CORRELATI Appunti no panic per l’Europa E adesso? Londra prova a dare un’unità di misura al costo della Brexit God save the Eu Il buio dopo la Brexit Il populismo è come un’anestesia, a un certo punto ci si sveglia Il voto inglese ci insegna che la storia non è un processo ineluttabile In Francia la Brexit diventa il banco di prova decisivo per il Front National La Brexit figlia degli euroaccordi al ribasso Lamento Brexit (recensire i commenti grillini al blog di Grillo) Trump vuole il “leave” dalle élite globali. Obama è il grande sconfitto
Questi dati arrivano di primissima mattina da un palcoscenico Bbc, giornalismo grande perché non se la tira e dice le cose che vanno dette nel momento giusto, sul quale si affollano come fantasmi i volti delle classi dirigenti della notte bianca. Hanno tutti la palpebra pesante, giornalisti compresi, e il solo Farage batte con l’adrenalina della vittoria lo sfondo insonne delle sue dichiarazioni. Sono impressionati e sorpresi e lo confessano senza ipocrisie, la story diventa history, poi arriverà la performance del solito statista britannico che ha studiato a Eton, aristocratico naturale, che annuncia davanti al 10 Downing Street come si comporta un inglese che non sia un cane furioso, un mad dog (Mad dogs & englishmen go out in the midday sun, come scrisse Noël Coward). Poi uno spettrale ma persuasivo Mark Carney, il capo della Banca delle banche, a rassicurare con i ratios, gli stress test fatti con cura, le prospettive di incertezza al termine delle quali non c’è catastrofe, mentre la Barclay’s Bank va giù in Borsa del 35-40 per cento.
Sono sempre bianchi, sempre di un’età avanzata che oggi si porta parecchio, elettoralmente, sempre gente ordinary come dice Nigel, fuori dai circuiti che contano, ma fanno massa come con Donald Trump, e se Cameron rivendica con orgoglio etoniano di aver dato loro le nozze gay, loro, che devono aver appreso con irritazione l’elezione a Londra di un sindaco musulmano, e one of us, volevano altro, protezione, confini, barriere, sicurezze, indipendenza dalle burocrazie e tecnocrazie, democrazia rustica, quella che si serve a tavola con le strane salse che piacciono agli inglesi. E’ un voto contro la globalizzazione, of course, e contro il Papa Francesco, meno persuasivo di quanto sembri e sempre bastian contrario per la terra della riforma antipapista. L’economia? Chissà, hanno detto. Ma padroni a casa nostra, hanno votato. La sovranità, le frontiere, il destino comune di lingua e di cultura, il rigetto della multinazionalità così come immaginata dai grandi padri europeisti del vecchio progetto e entrata in campo seriamente con la moneta unica e la gestione impotente e minacciosa dell’immigrazione: non è che siano chiacchiere populiste, sono i fattori determinanti di una decisione che avrà conseguenze molto rilevanti in tutta l’Europa, in tutto il mondo, e che dovrà essere affrontata con poderosi cambiamenti di cui oggi nessuno ha la chiave o la visione.
Si esce stonati da questa bastonatura che ci fa rischiare, ma non è detto, di ricadere in una terra di recessione. Da questa alzata d’ingegno che batte su una Francia con Hollande al 13 per cento di approvazione, Marine finalmente in grado di cantare vittoria e sentire le voci del referendum alla francese, come Giovanna d’Arco. Si esce straniti, anche a Berlino e a Francoforte, anche a Madrid e a Roma, da questa “proposta di riforma dell’Europa” gestita a calci nel culo dai britannici. Ecchemodi. Si esce anche un po’ delusi. Tutte quelle Olimpiadi, tutto quel luccichio e tutto quel cool dissipati alle sei del mattino dopo i risultati della Cornovaglia. Il colpo è duro, viene da destra (populismo, nazionalismo, nostalgia dell’impero) e da sinistra (antiausterity, corbynismo, fine del ruolo guida dei partiti popolari che non controllano il voto dei loro). Ma viene anche dalla fatale divisione dei conservatori, dalla propensione alla scommessa, al gioco, di un supereccentrico Boris Johnson, e dalla freddezza cinica di un Michael Gove. Comunque, mettiamola così, erano due idee diverse della Gran Bretagna, che si combattono equamente e iniquamente da decenni, che non avevano mai risolto il caso in un senso o nell’altro, e che adesso si sono contate. E’ la democrazia, stupido.
Categoria Estero