Il piano per l’auto della Silicon Valley. L’ultima carta del poker di Marchionne
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Fiat Chrysler sta richiamando oltre un milione di auto e suv in tutto il mondo per un problema al cambio riscontrato su alcune vetture. Intanto, però, tra colloqui sospesi tra Bmw e Apple e ricerca forsennata di un partner per il Lingotto, ecco un’indiscrezione dall’indotto Fiat sul pullover che guarda a Apple e Google. Tra “capitale cercasi” e “prodotto che diventa servizio”
Sergio Marchionne (foto LaPresse)
di Marco Valerio Lo Prete | 23 Aprile 2016 ore 06:18 Foglio
Roma. Nelle ultime 48 ore, due costruttori tedeschi di auto di alta gamma – Bmw e Daimler (tra i cui marchi c’è Mercedes-Benz) – avrebbero interrotto i colloqui con Apple per lo sviluppo della cosiddetta iCar. Secondo la stampa tedesca, infatti, non si sarebbe trovato l’accordo su chi in futuro dovrà assumere la leadership nella progettazione e anche nella gestione dei dati degli utenti. Proprio nelle stesse ore, invece, il Foglio ha raccolto la confidenza di un importante fornitore italiano del Lingotto: Fiat Chrysler Automobiles (Fca), per input diretto del suo ceo Sergio Marchionne, è decisa a giocare tutte le proprie carte per competere con le altre Case automobilistiche nella costruzione dell’auto di prossima generazione. Un obiettivo tutt'altro che scontato; proprio ieri sera Fiat Chrysler ha annunciato il richiamo di oltre un milione di auto e suv in tutto il mondo per un problema al cambio riscontrato dopo un controllo eseguito dalla stessa Fca e dal governo americano. Comunque, secondo la stessa fonte italiana, le quattro ruote “made in Silicon Valley” – Apple car o Google car si vedrà – sono un orizzonte che il manager in pullover ha deciso di scrutare seriamente, facendo capire agli stessi fornitori italiani che pure loro saranno della partita. Meglio: dell’eventuale partita.
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La posizione di Fiat in materia, stando alle sole dichiarazioni pubbliche, finora era apparsa più sfumata, a tratti perfino contraddittoria. John Elkann, scrivendo agli azionisti della sua Exor che è primo azionista di Fca, questa settimana ha criticato certi eccessi di “nuovismo” di altre Case: “Alcuni concorrenti di Fca sono convinti che non abbia senso insistere con il passato, cioè con il consolidamento, ma che si debba invece abbracciare il cambiamento con nuove tecnologie e modelli di business che riguardano il settore della mobilità, due volte più grande di quello della sola vendita degli autoveicoli”. Invece inseguire l’auto elettrica o quella che si guida da sola è “la strada sbagliata – ha scritto Repubblica sintetizzando l’Elkann-pensiero – Perché in base agli studi, nel 2030 questo tipo di auto rappresenterà comunque il 15 per cento del mercato anche nello scenario che prevede un cambiamento dirompente. Dunque il rimanente 85 per cento dei veicoli ‘non sarà completamente autonomo’”. Marchionne, che nel 2004 divenne ceo della Fiat anche su impulso dell’allora ventottenne Elkann, lo scorso marzo aveva fatto notizia per considerazioni di segno diverso. Dopo essersi dichiarato un “freak” dei prodotti Apple, aveva detto che l’azienda di Cupertino avrebbe fatto bene ad allearsi con un produttore d’auto classico prima di entrare in questo mercato: “E ritengo che noi abbiamo la credibilità per essere uno di quei player ai quali Apple avrà guardato. Ci sono parti di noi che sarebbero di loro interesse”. Non solo: “Apple ha un linguaggio preciso, bisogna conoscerlo. Abitualmente l’industria dell’auto si approccia al dialogo con un alto tasso di arroganza, visto che noi sappiamo costruire le vetture. Ciò però non aiuta molto, considerato che la loro sintassi ha un valore maggiore della nostra capacità di costruire le vetture”.
Giuseppe Berta, storico dell’industria italiana e docente alla Bocconi, commenta così questo atteggiamento ambivalente di Fiat e di tanti altri costruttori storici di automobili: “Effettivamente ci sono quelli che minimizzano l’impatto di Apple car, Google car e auto totalmente elettrica, descrivendo tutto ciò come uno scenario distante nel tempo e appena futuribile – dice al Foglio – Poi ci sono quelli che provano a intimorire le società della Silicon Valley, prospettando loro le difficoltà che incontreranno a entrare in un settore così differente e offrendogli allo stesso tempo un’alleanza”. Alla radice di ciò, vi sarebbe la consapevolezza di trovarsi di fronte a un “cambiamento di paradigma” per quella che Peter Drucker nel 1946 chiamò “l’industria delle industrie”. Così l’economista austriaco, poi naturalizzato statunitense, aveva definito l’automobile nel Ventesimo secolo. Adesso siamo nel Ventunesimo, però: “Vedo almeno tre sfide differenti. L’auto elettrica che è uscita dal limbo in cui era sprofondata grazie a quel visionario di Elon Musk, con la sua Tesla. Entro l’anno prossimo costruirà in Nevada, il primo stato americano che ha consentito nel 2011 la circolazione di automobile driverless, la più importante fabbrica di batterie elettriche per auto. Poi la Apple car, o iCar, un progetto di cui ancora non si sa tutto. Non sarà un’auto necessariamente senza guidatore, sarà probabilmente elettrica, e sarà per certo un prodotto fortemente interconnesso agli altri con il marchio della Mela. Infine la Google car, un po’ il tentativo di fondere auto elettrica e servizio Uber per intenderci: sarà più un servizio che un prodotto, la possibilità di vendere direttamente la ‘mobilità’, sia di flussi informativi sia fisica”. Un anno fa Marchionne, durante la presentazione di un concessionario Maserati a Toronto, e quindi mentre mostrava uno dei frutti del suo primo “salto quantico” che ha trasformato un’italianissima azienda quasi fallita in un player mondiale con tanto di benedizione della Casa Bianca, rivelò di aver incontrato da poco proprio i ceo di Tesla e Apple. E si disse “incredibilmente impressionato” da loro. Difficile stabilire fin da ora se, e in che modo, un gruppo come Fca – con le sue 4,7 milioni di vetture “classiche” vendute in un anno – possa interagire con questo nuovo mondo. Berta però, che sui nuovi scenari del comparto automotive sta scrivendo un libro, offre un indizio. Finanziario, innanzitutto.
“I gruppi della Silicon Valley hanno dotazioni tecnologiche, ma soprattutto dotazioni finanziarie. Apple ha una liquidità di circa 200 miliardi di dollari, irraggiungibile per le Case automobilistiche. E Marchionne è lo stesso manager che per primo, e con maggiore chiarezza, ha sostenuto che le Case automobilistiche invece non possono continuare ad alimentare un’idrovora che distrugge capitale investito nel tentativo di raggiungere un traguardo, quello di produrre complessivamente più auto, che intanto svanisce”. Se la classica strategia di “consolidamento” con altri gruppi storici, come Gm, finora non ha dato frutti fra Torino e Detroit, allora l’auto della Silicon Valley diventa una preda succulenta da corteggiare, o forse una bestia innovativa cui concedersi. Di disintermediazione in disintermediazione, e prima del 2018, l’anno a partire dal quale Marchionne ha detto che “sicuramente farà qualcos’altro”.
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