Idea! Un carrozzone Ferrovie più Anas
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Non si tratterebbe certo di un fulgido esempio di politica orientata al mercato. Per quanto concerne il versante Anas dell’ipotesi c’è un rilevante aspetto positivo.
15.04.16 Marco Ponti La Voceinfo
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Anas e alcune aziende di trasporto urbano potrebbero entrare nell’orbita di Ferrovie dello Stato. Non si tratterebbe certo di un fulgido esempio di politica orientata al mercato. Il già molto potente gruppo pubblico ne uscirebbe rafforzato. Lotti funzionali e gare nella soluzione per le strade.
Un lato positivo per Anas
Corrono ricorrenti voci di una volontà governativa di “consolidare” il già potentissimo gruppo Ferrovie dello Stato italiane (interamente pubblico) con trasferimento nella sua orbita anche di Anas, altra spa pubblica che gestisce le strade nazionali. Fsi ha anche dichiarato un particolare interesse per i trasporti urbani in generale e in specie per l’azienda romana Atac, in condizioni di fallimento tecnico.
Per quanto concerne il versante Anas dell’ipotesi c’è un rilevante aspetto positivo.
Sembra infatti che il finanziamento delle strade statali avverrebbe attraverso l’allocazione fissa di una quota delle accise sui carburanti, senza aumentarle (sono già le più alte d’Europa e rendono all’erario circa 13 miliardi all’anno). In altre parole, le strade statali (investimenti e manutenzione) sarebbero finalmente pagate da chi le usa, con un meccanismo abbastanza trasparente. Un dispositivo di questo genere è già applicato, per esempio, negli Stati Uniti.
Ciò consentirebbe nel breve periodo di disporre di una certezza di risorse e in un più lungo periodo, si spera, di estendere il principio all’intero sistema stradale, abolendo gradatamente l’indifendibile e opaca distinzione tra strade statali e locali, oggi tragicamente sotto-finanziate, e le autostrade, generalmente ricchissime a causa di meccanismi di pedaggio molto onerosi per gli utenti (meno per i concessionari). In questo modo sarebbe anche possibile una programmazione e una gestione integrata del sistema stradale maggiore, mentre oggi infrastrutture con caratteristiche funzionali pressoché identiche hanno fonti di finanziamento totalmente diverse.
Ma perché affidare tutto questo a una società ferroviaria? La teoria economica – ma anche il buon senso – dicono che le imprese regolate (cioè non esposte alla concorrenza), pubbliche o private, dovrebbero avere “le minime dimensioni efficienti”, affinché non acquisiscano troppo potere (“clout”) rispetto al regolatore pubblico (in questo caso, la recentemente costituita Autorità dei trasporti).
Per le stesse ferrovie si sono prospettate ipotesi di “spezzatino” (“unbundling”), anche per diminuirne il potere di lobby (che non sono solo private: basta pensare, per Fsi, al peso elettorale o a quello sindacale o anche a quello dei fornitori).
Per Anas una prospettiva assai più interessante sarebbe proprio quella opposta al consolidamento con Fsi: affidare in gara, per lotti funzionali e per periodi limitati nel tempo, la sola gestione della rete stradale, al fine di consentire tra l’altro anche di meccanismi di “concorrenza per confronto” (yardstick competition), oltre che in fase di affidamento. “Unbundling” anche per Anas, in estrema sintesi.
La questione di possibili economie di scala non si pone nemmeno: una recente ricerca effettuata dall’Autorità di regolazione dei trasporti ha definito soglie di economicità nella gestione della viabilità maggiore nettamente inferiori ai 400 chilometri. Se vale per il settore stradale, a maggior ragione vale per una tecnologia diversa, come quella ferroviaria.
L’interesse per il trasporto urbano
Veniamo ora all’estensione ai trasporti urbani dell’attività di Fsi (impresa che controlla circa il 90 per cento del mercato ferroviario e non soffre certo di nanismo, anzi).
Ora, la teoria economica sconsiglia quella che si chiama “integrazione verticale di impresa dominante”: a chi già dispone di un grande potere di mercato non dovrebbe essere consentito di diventare ancora più potente. Caso mai andrebbe fatto il contrario, come nei celebri esempi dei telefoni e delle società petrolifere negli Usa, o degli aeroporti di Londra, costretti tutti allo “unbundling” dal regolatore pubblico; anche Microsoft ha rischiato molto su questo versante.
Qui il rischio di un eccesso di potere di una lobby pubblica risulta ancora più evidente: tutta la normativa europea e italiana spinge verso soluzioni di affidamento al mercato per le imprese di trasporto locale.
La “soluzione Fsi” andrebbe in direzione opposta: infatti la auspicano gli amministratori locali delle imprese più inefficienti, nella convinzione che solo Fsi abbia la forza politica di ottenere sempre e comunque risorse pubbliche. E hanno molto probabilmente ottimi motivi per sperarlo, basta considerare i livelli di trasferimenti pubblici a Fsi nei decenni passati.
Anche in questo caso, non si tratta certo di una politica orientata al mercato: un domani quale impresa si sentirebbe di concorrere in gara contro un soggetto pubblico dominante, politicamente protetto e garantito? Partecipare a gare vere è un’operazione complessa e costosa. Quanto agli amministratori che hanno gestito in modo clientelare, o peggio, le loro imprese di trasporto, non dovrebbero così risponderne a nessuno.
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