Inflazione e investimenti. Ecco come la Bce replica al pressing tedesco ostile

Praet, capoeconomista dell’Eurotower, sul rischio della tripla recessione e sul senso di spingere i prezzi al 2 per cento. E oltre?

Peter Praet

di Marco Valerio Lo Prete | 05 Aprile 2016 ore 02:18 Foglio

Roma. Mario Draghi e i colleghi della Banca centrale europea continuano a essere tra i bersagli preferiti della stampa tedesca, specie dopo la decisione di rafforzare il programma di acquisti di asset pubblici e privati (Qe), annunciata il 10 marzo scorso assieme ad altre misure espansive di politica monetaria (incluso il livello ancora più negativo dei tassi sui depositi). Poche ore dopo, Handelsblatt raffigurò Draghi nelle vesti di un simil padrino che fuma un sigaro con cui brucia denaro, ovviamente dei tedeschi. Le critiche, pur se meno plateali, non si sono più interrotte sui media di Berlino. Ieri, intervenendo a Roma a un seminario della Luiss School of european political economy, il belga-tedesco Peter Praet, membro del Comitato esecutivo e capo economista della Bce, è sembrato rispondere a molte di queste obiezioni. “Il prolungato periodo di bassa inflazione in cui ci troviamo ha aumentato i rischi che questo livello di inflazione possa diventare persistente, il che danneggerebbe profondamente l’economia – ha detto – Per questo abbiamo reagito con forza per garantire il nostro obiettivo. E continueremo a farlo in futuro, se necessario”.

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Sarà lunga la battaglia di Draghi per fare riemergere l'inflazione in Eurozona La criticità della situazione europea è tutta in due delle slide mostrate da Praet. La prima ricorda che gli Stati Uniti hanno impiegato tre anni e mezzo per tornare al pil reale del livello pre-crisi (cioè ai numeri di fine 2007), mentre l’Eurozona ha impiegato otto anni. Inoltre, assumendo l’indice Pmi composito come termometro del ciclo economico, emerge che l’Eurozona ha attraversato una doppia recessione (double dip) e, nella primavera del 2014, ha rischiato una terza caduta. “Nell’estate del 2014 le aspettative di lungo termine sull’inflazione hanno iniziato un graduale declino, verso livelli mai visti dall’inizio dell’Unione monetaria”, ha sottolineato Praet. Da qui la decisione della Bce di avviare il Qe nel gennaio 2015. Così il banchiere centrale ha risposto alla domanda implicita in tante critiche dei rigoristi: “La Bce non poteva pazientare di più?”. L’inazione degli altri – stati membri o istituzioni brussellesi che siano – non è nemmeno un argomento a favore dell’immobilismo della Bce. Detto ciò, considerato che “la crisi ha dimostrato che assicurare la stabilità dei prezzi non è sufficiente ai fini di una crescita sostenibile”, Praet ha parlato della necessità di un “policy mix” anti stagnazione. Fisco, investimenti, certo, ma ai piani alti dell’Eurotower insistono anche sul completamento delle riforme strutturali, come la giustizia in Italia e l’Unione bancaria a livello europeo.

Ammesso che muoversi in direzione espansiva, per la Bce, è diventato a un certo punto imperativo, il mandato è pur sempre quello di mantenere il livello dei prezzi “vicino, ma al di sotto del 2 per cento”. Per gli osservatori più “rigoristi”, rimanere appena sopra lo zero, come oggi, sarebbe dunque sufficiente. Praet invece ha confutato l’argomento per cui raggiungere a tutti i costi l’obiettivo del 2 per cento sarebbe un aiuto sleale e senza precedenti per i paesi periferici: ha ricordato infatti che quando quell’obiettivo fu stabilito, nel 2003, a beneficiarne per il proprio “aggiustamento” fu la Germania, allora relativamente meno competitiva di altri paesi. Tale notazione va letta assieme a una risposta fornita da Draghi durante l’ultima conferenza stampa: “Il nostro mandato è raggiungere un tasso d’inflazione che sia vicino ma sotto il 2 per cento nel medio termine. Il che significa che dovremo definire il ‘medio termine’ in maniera tale che se il tasso d’inflazione è stato a lungo sotto il 2 per cento, allora sarà sopra il 2 per cento per un po’ di tempo”. Prospettare la rottamazione, pur temporanea, della soglia del 2 per cento d’inflazione, così da aiutare l’aggiustamento dei prezzi nell’Eurozona, è il tipo di argomento che potrebbe aizzare ancora di più i critici di Draghi. Ragionarci su, ricordando un po’ di storia recente – come ha fatto ieri Praet – è il modo migliore per tastare il terreno.

Categoria Economia

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