Paura e delirio a Piazza Affari. Un classico del pensiero economico spiega perché
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Piazza Affari è la "maglia nera" tra le Borse europee, affossata dalle banche su cui continuano a pesare le incertezze legate agli scenari post referendum costituzionale.
di Marco Valerio Lo Prete
Lo spread viaggia in area 187 punti e il rendimento del Btp decennale sopra il 2 per cento. Come distinguere "incertezza" da "rischio" leggendo l'economista Frank H. Knight
Marco Valerio Lo Prete 28 Novembre 2016 Foglio
Oggi, come ogni lunedì, è andata in onda "Oikonomia", la mia rubrica settimanale su Radio Radicale. Qui potete trovare l'audio, di seguito invece il testo con i link.
La settimana che inizia oggi è l’ultima che ci separa dal referendum costituzionale italiano di domenica prossima, 4 dicembre. Con tutta probabilità, nelle prossime ore, analisti e commentatori torneranno a ragionare sulla possibile reazione dei mercati all’esito di questo voto nel nostro paese. D’altronde già alla fine della scorsa settimana qualcosa si muoveva: lo spread tra il Btp decennale italiano e l’omologo titolo di stato tedesco, cioè il Bund, ha chiuso a 186 punti dopo aver toccato quota 190 durante la giornata. Tra i rendimenti dei titoli di stato italiani e quelli dei tedeschi si registra dunque la distanza maggiore dal marzo 2014 a oggi.
Già stamattina Piazza Affari è la "maglia nera" tra le Borse europee, affossata dalle banche su cui continuano a pesare le incertezze legate agli scenari post referendum costituzionale. L'indice principale Ftse Mib cede l'1,3% a 16.299 punti, dopo essere arrivato a perdere fino al 2%. Resta alta la tensione anche sul mercato obbligazionario in vista del 4 dicembre, con lo spread che viaggia in area 187 punti e il rendimento del Btp decennale saldo sopra il 2 per cento.
In Europa, comprensibilmente, tendiamo ad associare un qualsiasi aumento dello spread o differenziale rispetto al bund tedesco come a un aumento delle probabilità di default o fallimento di un paese. D’altronde il solito spread raggiunse vette da record proprio all’apice della crisi finanziaria del 2011 in Italia, e lo stesso ha fatto in Grecia a più riprese (fino a che Atene, a differenza di Roma, non è nemmeno più riuscita a collocare titoli del suo debito pubblico presso gli investitori). Eppure oggi anche lo spread tra i titoli di stato americani e i bund tedeschi è al massimo, senza che ciò voglia dire, almeno in quel caso, che Washington è a un passo dal default. Anzi. Se lo spread tra Treasury e Bund è arrivato alla fine della scorsa settimana a superare i 200 punti, ciò è dovuto soprattutto alle promesse che il presidente eletto Donald Trump ha fatto di voler detassare e aiutare le imprese americane. Ciò ha fatto balzare Wall Street e tutti gli indici di Borsa fino a nuovi record, una corsa verso massimi sempre più alti che per qualcuno annuncia nuovi anni di benessere e utili in rialzo. Per qualcun altro, invece, rischia di sgonfiarsi presto, una volta che la “bolla” fiscale di Trump, che fa leva sul debito, non avrà risvegliato l'inflazione e con essa i tassi d'interesse. Proprio la prospettiva di tassi più alti fa scendere i prezzi dei titoli di Stato americani, con un rialzo dei rendimenti che è all'origine di questo spread “monetario”, tra virgolette, tra Treasury e Bund tedeschi.
Ma torniamo all’Italia. In questa puntata, senza addentrarmi in difficili previsioni sulla reazione dei mercati al voto della prossima settimana, nello spirito originario della rubrica vorrei fare chiarezza su due concetti che vengono spesso utilizzati nei dibattiti pubblici in queste fasi, quello di “rischio” e quello di “incertezza”.
“Rischio” è il termine con il quale si indicano le condizioni in cui un soggetto compie una scelta o prende una decisione, a patto che siano rispettate due condizioni. Innanzitutto si può parlare propriamente di “rischio” quando a ogni singola decisione che si può prendere è associata una molteplicità di conseguenze ciascuna delle quali corrisponde alla realizzazione di un particolare “stato del mondo”, con questi possibili stati del mondo che si escludono a vicenda. In secondo luogo, quando parliamo di “rischio”, il soggetto che decide attribuisce determinate probabilità ai possibili stati del mondo.
Quando invece il soggetto ha sì presenti gli insiemi delle possibili decisioni da prendere e degli stati del mondo che ne discenderebbero, ma non attribuisce a questi ultimi delle probabilità, si parla allora di decisioni in condizioni di “incertezza”.
A spiegare in maniera sistematica tale differenza fu negli anni 20 del secolo scorso Frank Hyneman Knight. Nato nel 1885 e morto nel 1972, questo economista americano trascorse quasi tutta la sua carriera all’Università di Chicago, dove divenne uno dei fondatori della cosiddetta Scuola di Chicago ed ebbe come allieve i premi Nobel Milton Friedman, George Stigler e James M. Buchanan. Come ha scritto di recente Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera, “Frank H. Knight, nel 1921, affrontare un rischio significa esporsi ad un evento aleatorio essendo in grado di stimare la probabilità che esso si verifichi: gioco alla roulette e so che (se non è truccata) la probabilità che esca il rosso è esattamente 50 per cento. In situazioni di incertezza, invece, questa stima non è possibile”.
Si tratta ora di capire se da oggi fino al 4 dicembre e oltre prevarrà il sentimento del rischio o quello dell’incertezza. Anche molti elettori che si recheranno alle urne, pur non essendo allievi di Frank Night, potrebbero essere influenzati nella loro scelta dalla sensazione di riuscire a calcolare o meno la probabilità di un certo scenario post voto.
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