Se nel bazaar delle compravendite globali c’è anche Draghi
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Una serie di grandi accordi scaccia la paura di una frenata estiva del M&A. In Europa la Bce ha un ruolo
Il presidente della Bce Mario Draghi (foto LaPresse)
di Alberto Brambilla | 23 Agosto 2016 ore 19:42 Foglio
Roma. E’ tornata la “merger mania”. L’ondata di operazioni di fusione/acquisizione di questi giorni può essere il segnale premonitore di un’accelerazione delle compravendite mondiali nei prossimi mesi.
Lunedì l’offerta di 43 miliardi di dollari da parte della cinese ChemChina per comprare il colosso svizzero della agro-industria Syngenta ha avuto l’approvazione del Committee on Foreign Investment degli Stati Uniti e se sarà completato – l’accordo è soggetto al vaglio dell’Antitrust americano ed europeo – sarebbe l’acquisizione cinese all’estero più grande di sempre.
Il colosso farmaceutico americano Pfizer ha invece raggiunto un accordo da 14 miliardi di dollari per comprare la californiana Medivation, specializzata nei trattamenti tumorali. L’accordo rappresenta per Pfizer, seconda società farmaceutica del mondo con 167 anni di storia, il più grande take-over di una rivale concentrata sull’oncologia, settore nel quale vuol diventare leader. A inizio anno Pfizer aveva rinunciato a fondersi con Allergan, che ha base in Irlanda, dove le tasse sono più basse, dopo la stretta del Tesoro americano alle operazioni di inversione fiscale. Prima era sfumata l’acquisizione ostile sulla rivale Astrazeneca, con base nel Regno Unito.
Nel frattempo uno dei più grandi gestori di minimarket, la canadese Alimentation Couche-Tard, ha trovato un accordo per comprare la rivale texana Cst Brands per 4,4 miliardi di dollari. Il produttore di chip giapponese Renesas Electronics è da poco in trattativa per comprare l’americana Intersil.
Il principale accordo nell’industria dei semiconduttori quest’anno è stato l’acquisto dell’inglese Arm da parte di Softbank, fondata e guidata da Masayoshi Son, secondo uomo più ricco del Giappone.
Nel Regno Unito, dove il “Brexit blues” pare superato senza patemi, la società che opera la Borsa di Singapore, Singapore Exchange, ha comprato per circa 100 milioni di euro la piattaforma londinese Baltic Exchange, in fondo piccola ma simbolica: fondata nel 1744, fornisce informazioni su prezzi e costi dei servizi e dei trasporti marittimi, suo marchio di fabbrica è il Baltic Dry, l’indice sintetico del traffico marittimo mondiale delle merci solide.
A vedere la serie di accordi resi noti in questi giorni, per un valore di 65 miliardi di dollari, gli analisti specializzati ipotizzano che l’attività di fusioni e acquisizioni in autunno sarà più effervescente del previsto: dopo un 2015 da record – con deal annunciati per un valore di 5 trillioni di dollari – il 2016 era iniziato lentamente ma gli accordi globali annunciati finora, quasi 24 mila, sono valutati in circa 2,2 trillioni di dollari, contro i 2,9 per 27 mila deal dello stesso periodo dell’anno scorso (dati Dealogic). Chi si aspettava la bonaccia dopo la Brexit probabilmente avrà modo di ricredersi.
In Europa,dopo anni di bassa crescita, le società sono sottocapitalizzate, quindi più deboli, rispetto alle rivali americane e asiatiche – tra le 20 società a più alta capitalizzazione di mercato, nessuna ha sede in Eurozona – e nonostante importanti fusioni tra rivali (Holcim-Lafarge), accordi esteri in terra italiana (la russa Vimpelcom/Wind e la cinese Hutchison/3Italia), patti da riscrivere tra amici diventati nemici (Mediaset-Vivendi) la base è più fragile che altrove.
Un nuovo giocatore pesante si è però appena seduto al tavolo: la Banca centrale europea. Nell’ambito del nuovo Corporate sector purchase programme (Cspp), iniziato l’8 giugno, la Bce acquista settimanalmente sul mercato secondario e primario obbligazioni societarie di aziende europee, anche se la controllante è estera, attraverso sei Banche centrali nazionali dell’area euro (Germania, Finlandia, Portogallo, Spagna, Italia, Belgio). La Bce ha puntualizzato che i bond potranno essere acquistati anche in operazioni di collocamento privato, come accaduto con le spagnole Repsol e Iberdrola. Anche perché i bond acquistabili sul mercato già scarseggiano, tanto che alcune aziende intendono confezionare emissioni su misura per l’Eurotower. Le obbligazioni comprate dalla Bce al 19 agosto sono 558 e sono state emesse da 189 società, in prevalenza nei settori utility, energia e trasporti. In Italia sono comprate Telecom Italia, una delle prime a beneficiare degli acquisti, Eni, Enel, A2A, Terna, Ferrovie dello Stato, Generali, Poste, e altre. Si sono aggiunte questo mese Heineken, Nederlandese Gasunie, Bmw Finance, Infineon, Shell, Danone, Vinci, La Poste e altri.
Gli analisti avvertono del rischio di distorcere il mercato secondario deprimendo i rendimenti, come succede con i bond di stato oggetto del Quantitative easing. Ma è altrettanto discusso il criterio degli acquisti stessi, in particolare perché non ci sono vincoli riguardo le finalità dell’emissione obbligazionaria che la Bce va a sostenere: non è escluso infatti che l’Eurotower finanzi società che s’indebitano per procedere ad acquisizioni (leveraged buyout). Il quotidiano MF/Milano Finanza ha appunto verificato che gli acquisti da parte della Banca centrale del Belgio di obbligazioni Jab Holding, un veicolo lussemburghese, sono stati utili ai multi-miliardari eredi del magnate tedesco Albert Reimann – oltre alla cosmetica Coty, alla chimica Durex e altro, possiedono un impero dell’industria del caffè con la Jacobs Douwe Egberts – a rimpinguare un’emissione precedente per finanziare in parte l’Offerta pubblica di acquisto lanciata sulla catena americana di caffetterie Krispy Kreme Doughnuts. Forse non era questo l’intento primario di Mario Draghi, presidente della Bce, ma in ogni caso l’Eurotower ha messo un piede anche nel bazaar delle compravendite globali.
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