Il cambio più urgente a Bruxelles
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Nell’agenda politica europea si parla di riforme senza citare la più improrogabile: quella dei mercati finanziari. Una vera riforma sarebbe la migliore terapia per la ripresa di una crescita produttiva nel mondo occidentale, a cominciare dall’Europa. Al contrario c’è nelle cancellerie d’Europa una sorta di servaggio alla signorìa della finanza
Commissione europea, Bruxelles (foto LaPresse)
di Paolo Cirino Pomicino | 03 Luglio 2016 ore 06:18 Foglio
Al direttore - Sconcertano le tante analisi che si susseguono da parte di opinionisti e governi sulle ragioni della Brexit e sui guasti che essa può comportare per l’Europa. Né nel vertice di Berlino tra Merkel, Hollande e Renzi né sui maggiori quotidiani nazionali, infatti, emergono le ragioni della protesta che sono alla base non solo della Brexit ma anche della crescente insofferenza della parte più debole delle società nazionali. Le periferie delle grandi metropoli, così come le vecchie città industriali inglesi ridotte a fantasmi produttivi, hanno votato in massa per l’abbandono dell’Europa, vista come l’espressione più forte del potere imperante che da anni sta scavando un fossato di diseguaglianze tra la ricchezza di pochi e le grandi povertà che avanzano nelle società occidentali. Diseguaglianze di massa alimentate da un vorace capitalismo finanziario che drena risorse crescenti dal ciclo produttivo per impegnarle nella nuova industria finanziaria, dove la materia prima sono i quattrini e il prodotto finale sono ancora più quattrini. Una constatazione che talvolta viene fatta più da alcuni grandi finanzieri (Soros) o industriali (Bill Gates) che non dalla politica, sempre più al servizio della finanziarizzazione dell’economia internazionale.
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Questa mancata diagnosi, un po’ per ignoranza e un po’ per complicità, spinge a cercare altrove i rimedi necessari per superare la bassa crescita con deflazione o per uscire dall’emergenza, come quella che si è creata a seguito del referendum popolare britannico. Nell’agenda politica europea si parla, infatti, sempre di riforma ma non si cita mai la più urgente, quella dei mercati finanziari, che dovrebbe prevedere diversi divieti, a cominciare dalla vendita di prodotti finanziari al di fuori dei mercati regolamentati e l’utilizzo del grande mercato bancario retail per collocare prodotti finanziari opachi e ingegnerizzati, oltre al divieto di avere come sottostante di alcuni prodotti finanziari le materie prime che sono la vita del mondo. Una vera riforma dei mercati finanziari sarebbe la migliore terapia per la ripresa di una crescita produttiva nel mondo occidentale, a cominciare dall’Europa. Ben sapendo, peraltro, che questo tema dovrebbe essere portato all’attenzione del G20 da un’Europa coesa e consapevole dei rischi che sta correndo l’economia reale continentale per il crescente uso finanziario del capitale a scapito del suo uso produttivo.
Al contrario di ciò che sarebbe necessario c’è nelle cancellerie d’Europa una sorta di servaggio alla signorìa della finanza che ha smarrito da tempo il suo ruolo di infrastruttura al servizio della produzione di beni e servizi. E così finiamo per sopportare in silenzio questo intollerabile attacco della speculazione sui mercati finanziari sempre più deregolamentati, senza mettere in moto reazioni capaci di far pagare a essa pegni pesantissimi. Un esempio per tutti. Perché, dinanzi ai ribassi sui titoli bancari la Banca centrale europea e le stesse banche vittime di questi attacchi non comprano per centinaia di miliardi titoli bancari deprezzati senza avere alcun riferimento sui fondamentali dei rispettivi conti economici? Chi compra oggi guadagna domani, ma se lo facesse il sistema finanziario pubblico e privato toglierebbe alla speculazione la prospettiva di profitti irragionevoli, causando a essa perdite che difficilmente dimenticherebbe e ben presto scomparirebbero dalla scena corvi e sciacalli. Insomma, nei mercati finanziari così deregolamentati, “a brigante, brigante e mezzo”, come avrebbe detto Pertini, dismettendo l’aria dimessa che caratterizzano i poteri pubblici, quasi a testimoniare che l’egemonia della finanza sia figlia del destino cinico e baro e non frutto di una politica sciagurata e complice.
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