Unicredit, habemus Mustier
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Perché il “conclave” della banca ha scelto Jean Pierre Mustier come ad.
di Alberto Brambilla | 30 Giugno 2016 ore 20:53
Roma. Il “conclave” più lungo nella storia della finanza italiana si è chiuso giovedì a mezzogiorno con la designazione al vertice di Unicredit di Jean-Pierre Mustier, dal 2011 fino al 2014 a capo del corporate & investment Banking della banca italiana. A 38 giorni dalle dimissioni di Federico Ghizzoni (in carica per i sei anni della crisi dell’eurodebito), i maggiorenti di Unicredit, con la consulenza dei “cacciatori di teste” di Egon Zehnder, hanno scelto un “papa francese”. Mustier è stato contrastato fino all’ultimo in sede di comitato nomine per la sua scarsa esperienza in una banca commerciale. Nativo del Puy-de-Dôme, classe 1961, papà medico, mamma farmacista, moglie di origini cinesi, due figli, Mustier è diplomato all’École des mines e all’École polytechnique, dove venne pescato da Daniel Bouton, all’epoca pdg di Société Générale (SocGen). SocGen, terza banca francese, è dove Mustier approdò nel 1987 – all’epoca la banca stava costruendo una piattaforma globale per operazioni di trading – e dove poi ha guidato il settore corporate & investment banking. Dal 2015 fino a giovedì lavorava alla Tikehau Capital, società parigina specializzata nella gestione di strumenti di debito. L’accoglienza della Borsa è stata positiva: i mercati non avrebbero tollerato uno stallo prolungato. L’unico istituto italiano d’importanza sistemica non poteva restare senza leader sotto i cieli della Brexit (“non succede da nessun’altra parte del mondo” aveva tuonato Alessandro Penati, capo del fondo Atlante).
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Mustier, un ex paracadutista militare, ha iniziato la sua carriera nelle sale operative anziché alle dipendenze dello stato come sovente accade in Francia. La sua vocazione da manager dedito al trading – un suo concorrente disse che operava come se fosse un ibrido tra un fondo speculativo e un gestore di patrimoni – è stata, secondo indiscrezioni, una delle controindicazioni alla sua nomina, unita alla “macchia” di essere stato il boss di Jérôme Kerviel, trader che fece perdere a SocGen 4,9 miliardi di euro, e ad avere ricevuto una multa per insider trading dall’Autorità per i mercati francesi per fatti risalenti al 2007. Lui ha sempre negato. I supposti limiti del curriculum di Mustier in un momento critico per l’Europa e per Unicredit si trasformano in altrettanti atout. Il passaporto francese – è il terzo manager transalpino a occupare in poco tempo posizioni apicali nella finanza italiana dopo Philippe Donnet (ad di Generali) e Vincent Bolloré (azionista pesante di Mediobanca e di Telecom Italia) – è considerato una garanzia dagli osservatori internazionali che invocavano l’arrivo di un “papa straniero”.
Quest’ultima caratteristica è sufficiente a rendere Mustier meno sensibile alle pressioni che si scateneranno al momento dei tagli o della non meno dolorosa revisione del portafoglio impieghi. La formazione ingegneristica e l’esperienza pregressa nell’avanguardia dell’informatica finanziaria possono essere provvidenziali in un’epoca di trasformazione dell’industria bancaria, tra servizi online e nuove tecnologie come il Blockchain che permettono di ridurre i costi fissi. Avere già operato in Unicredit per tre anni significa conoscere i nodi dell’istituto che in un anno vissuto pericolosamente – vedi il ritiro della garanzia all’aumento di capitale di Popolare di Vicenza – è arrivato a perdere in Borsa il 40 per cento anche a causa dell’incertezza gestionale. Soprattutto a favore della scelta del banchiere francese gioca la fiducia guadagnata presso la grande finanza, quella che dovrà con tutta probabilità contribuire alla necessaria ricapitalizzazione per 5-7 miliardi di euro così indigesta per le fondazioni azioniste italiane.
Unicredit deve attenersi a requisiti regolamentari più stringenti delle banche di stazza inferiore in quanto “istituto finanziario di interesse sistemico”, status che condivide anche con SocGen. Francia e Italia avevano chiesto alla Commissione europea di ammorbidire i requisiti per le banche “troppo grandi per fallire”. Liberarsi di quest’etichetta pesante, assegnata dal Financial stability board, non è facile. General Electric Capital, società di servizi finanziari dell’omonima multinazionale americana, l’ha fatto cedendo asset. Anche Unicredit è in predicato di recuperare capitale vendendo asset (la società di brokeraggio online Fineco – attività probabilmente gradita a Mustier –, Bank Pekao, seconda banca polacca, e Yapi Kredi, quarta banca turca). Ma non è detto che Mustier seguirà l’esempio americano o che ciò basti.
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