Le considerazioni tristi, solitarie e finali di Visco sull’economia italiana

L’esitazione della ripresa dopo la crisi, l’Europa matrigna (si salva solo il Qe di Draghi), avanti Renzi sul cuneo fiscale

di Stefano Cingolani | 31 Maggio 2016 ore 20:37 Foglio

Roma. Un tono mesto, un fare preoccupato, parole prudenti (tranne sulla disgregazione dell’Europa e sulle banche), suggerimenti quasi sommessi sulla politica economica, silenzio sulle riforme costituzionali. Ignazio Visco quest’anno non ha lanciato messaggi ottimisti come in altre considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia. Il 30 maggio 2014 aveva avvertito che “l’uscita dalla recessione è travagliata, la ripresa fragile e incerta”, tuttavia sollecitava “un programma, un disegno coerente, anche se le singole misure potranno essere attuate in tempi diversi”. Il 26 maggio 2015 ha annunciato che “si è avviata la ripresa”, apprezzando una politica di bilancio “appropriata”, l’aumento della domanda interna, gli 80 euro. Ieri è stato decisamente più guardingo.

Leggiamo allora il capoverso riassuntivo: “Usciamo lentamente, con esitazione, da un lungo periodo di crisi. La ripresa è ancora da consolidare. Le previsioni indicano il ritorno ai livelli di reddito precedenti in un tempo non breve; sono deludenti le valutazioni sul potenziale di crescita. Si deve, e si può, fare di più”. Aumentare la produttività resta il leitmotiv di Bankitalia. Ma “l’innovazione, l’investimento devono beneficiare di un ambiente che li premi”. Come è possibile se “il sistema finanziario è sottoposto a sfide pressanti”? Nelle banche “i crediti deteriorati sono elevati e la redditività è bassa” (vedi articolo qui sotto). “La costruzione europea avanza con passi graduali via via più impegnativi… Il trasferimento di sovranità è importante, la costruzione però è irregolare, incompleta”. In definitiva “ogni progresso si rivela più difficile”.

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Anche la “Finanziaria” di Visco resta in sordina. L’aumento della domanda interna è frutto “in misura importante dell’intonazione fortemente espansiva della politica monetaria”. Nel dettaglio, le riduzioni dei tassi di interesse e il deprezzamento del cambio che sono conseguenze del Quantitative easing di Mario Draghi, nel biennio 2015-’16, sostengono la crescita del pil di circa un punto percentuale; alla politica di bilancio del governo invece va il “merito” di nemmeno mezzo punto di crescita. I “margini di manovra” della politica di bilancio, d’altronde, sono “limitati dall’alto debito pubblico” che per ora non scende. Nel 2017 la riduzione dipenderà da “uno stretto controllo dei conti pubblici e dalle privatizzazioni”. Tra le cose da fare spiccano gli investimenti pubblici in infrastrutture e quelli in costruzioni per ristrutturare il patrimonio esistente, la riduzione del cuneo fiscale, gli incentivi all’innovazione, il sostegno ai redditi bassi. Non ci sono le risorse per tutto ciò, ma è possibile “programmare gli interventi su un orizzonte temporale più ampio”.

Visco s’è fatto gufo? Non in senso renziano, ma piuttosto in quello buonista di vecchio saggio? Anche; del resto la cornice fattuale delle sue considerazioni non consente grandi voli. Rispetto allo scorso anno è peggiorato il panorama internazionale. Ma soprattutto ha fatto passi avanti la decomposizione dell’Unione europea con conseguenze pesanti, in primo luogo sull’Italia. Bruciano, e il governatore non lo nasconde, le sconfitte: sulla bad bank, sull’applicazione del bail-in, sull’uso del fondo interbancario di garanzia (che è privato, ma la Ue lo considera alla stregua di aiuto di stato), e soprattutto sull’Unione bancaria in quanto tale perché, rimasta incompleta, senza un meccanismo comune di risoluzione delle crisi, si è trasformata in una vera e propria trappola per il sistema italiano. Il governatore reagisce, prima alludendo alla “istituzione di un fondo in cui far confluire parte dei debiti sovrani, da redimere nel tempo con modalità ben definite e senza trasferimenti di risorse tra paesi”, poi rilanciando il sogno di Altiero Spinelli che moriva a Roma trent’anni fa. Ma il documento di Ventotene, che egli cita alla fine, appare lontano nel passato e ancor più nel futuro.

La realtà emerge amara in tutte le pagine dedicate all’applicazione squilibrata, asimmetrica delle regole europee. Per responsabilità di una unione sbilenca e incompiuta, della prevalenza di interessi forti come quelli della Germania sempre spalleggiata dai paesi satelliti e alla fin fine dalla Francia. Ma c’è da chiedersi se non sia mancata, in tutti questi anni, la forza e la capacità negoziale di Roma. Anche da qui, in fondo, spunta quel problema di continuità, stabilità e governabilità che rimanda alle riforme costituzionali sulle quali Visco, a differenza di quel che ha fatto su altre riforme, ha preferito glissare; aspettando ottobre quando, tra l’altro, anche i medici di Bruxelles rifaranno gli esami al paziente Italia.

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