Ragionamenti fuorvianti e luoghi comuni. Così sulla cannabis si discute del punto sbagliato
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La discussione sulla legalizzazione dovrebbe spostarsi su dati scientifici certi
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di Giovanni Maddalena | 21 Luglio 2015 ore 17:37 Foglio
Curiose le affermazioni dei parlamentari riportate dalle agenzie per sostenere il progetto legge di liberalizzazione della cannabis. “Il mondo cambia e l’Italia resta sempre ultima. Ora colga l’occasione per legalizzare la cannabis” (Nichi Vendola, Sel). “Con 8 milioni di consumatori la legalizzazione è già nei fatti”, (Adriana Galgano, Sc). “Un testo che ho sottoscritto convintamente, che affronta il fallimento del proibizionismo e segue l’esempio che arriva a livello internazionale da Paesi importanti come gli Stati Uniti” (Realacci, PD). “La legalizzazione è una questione di giustizia” (M5s). I gruppi di ragioni sono tre e sono ben rappresentati in queste frasi.
1.Così fan tutte/i. La ragione per legalizzare le droghe leggere sarebbe che tutti gli altri o i migliori lo hanno già fatto. A parte la falsità del dato – sono pochissimi i Paesi che hanno legalizzato – a me interessa la fallacia del ragionamento. Una cosa non è vera o falsa, buona o cattiva, perché ce l’hanno tutti o perché i “più progrediti” già ce l’hanno. La prima si chiama fallacia ad populum, l’errore di ragionamento che decreta un risultato in nome dell’approvazione generale; la seconda è l’errore per il quale ciò che viene per ultimo è sempre meglio di ciò che viene prima. Che gli ebrei o i kulaki fossero cattivi a un certo punto lo dicevano tutti; i paesi importanti sono stati campioni anche di tanti orrori che hanno inventato e usato prima degli altri, come la tratta degli schiavi a partire dal XVI secolo, la corsa agli armamenti che ha portato alle guerre mondiali, le teorie razziste e le leggi razziali (“un esempio internazionale”? Vorremo mica “restare ultimi”?)
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2. Essere o non essere. Il secondo tipo di argomenti è quello che ci dice che il proibizionismo ha fallito, dunque legalizziamo. Curioso ragionamento che pone solo due alternative e poi obbliga decidere tra di esse, come se fosse questione di essere e non essere. Come dire: visto che la dieta non ha funzionato, proviamo con il mangiare di tutto. La raccolta delle tasse non ha effetti, perché non provare a non pagarle affatto? La lotta alla violenza negli stadi non ha mai avuto successo, perché non armare gli ultras a più non posso? Il fatto è che le alternative non sono solo due, ed è truffaldino chi lo fa credere.
3. Liberi, liberi siamo noi. Rimane il vero argomento, a cui penso si riferissero i M5s: “una questione di giustizia”. Qui la questione è seria. Non quella farlocca del liberalizzare per contrastare meglio – una menzogna per infanti – ma quella profonda della modernità che lega giustizia e libertà di scelta: è giusto ciò che voglio fare se non danneggia gli altri (ma al massimo me stesso). Qui non c’è niente da ridere. Sono due concezioni della libertà che si affrontano: una è quella del liberalismo radicale e individualista, l’estremizzazione di quella appena definita, l’altra – su cui spesso si basa il nostro ordinamento che deve molto a cattolici e comunisti – è quella per cui si è liberi solo quando si fa qualcosa che è bene per tutti perché l’uomo è un animale sociale, relazionale, politico e non esiste nessuna sua scelta di nessun tipo che non incida sugli altri. Su questo sì che sarebbe bello confrontarsi e forse gli schieramenti sarebbero diversi da quelli parlamentari. E’ curioso infatti che il liberalismo dei diritti possa essere sostenuto in nome di un’eredità socialista e comunista che ha sempre sottolineato il valore della società persino sopra quello della persona singola. Ma questa sarebbe ovviamente una discussione lunga e seria, che richiederebbe anche un ripensamento filosofico e ideale dei vari partiti. Troppo, per chi ha fretta di risultati.
A proposito di risultati, per una volta – una delle poche in cui il tema lo permette – non potremmo cominciare dai dati empirici della scienza? Abbiamo 96 università e un centro di ricerca nazionale più svariati centri di ricerca privati. Possibile che non si riesca a stabilire una commissione di scienziati che ci dica se e quanto fa male la cannabis ai singoli e nei suoi effetti sociali? E per una volta, prendere i risultati e valutarli, senza eccessivi pregiudizi, per il famoso bene comune di cui tutti parlano (troppo)? Certo, nessun dato vincolerà la concezione della libertà che è chiamata a leggerli, ma allora sposteremo la discussione su quella invece che su banali errori di ragionamento.
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