Elogio della diversità
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La perfezione della famiglia reale inglese non sarebbe tale se non ci fosse il principe Filippo di Edinburgo, 94 anni, con quel suo sorriso imbolsito e tuttavia seducente e con quella sua sfacciataggine.
Due fatti mi angustiano: un presidente nero che fa di tutto per omologare il mondo, e un Papa bianco che non si risparmia la fatica del banale (LaPresse)
di Giuliano Ferrara | 19 Luglio 2015 ore 06:00 Foglio
La perfezione della famiglia reale inglese non sarebbe tale se non ci fosse il principe Filippo di Edinburgo, 94 anni, con quel suo sorriso imbolsito e tuttavia seducente e con quella sua sfacciataggine. Qualche tempo fa agli aborigeni australiani domandò: ma mi dicono che combattete ancora con le lance, è vero? Due giorni fa alle donne di una comunità dell’East End londinese ha rivolto un sorprendente quesito: ma chi vi mantiene? Non è meraviglioso, con questo caldo, che ci sia ancora qualcuno al mondo che pensa i selvaggi siano selvaggi e le donne esseri umani bisognosi di protezione? Ma poi la faccia, il linguaggio del corpo, accanto a quel prototipo assoluto del correttismo istituzionale che è la Regina Elisabetta.
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Io ho il culto della diversità. E’ questo che mi divide, e divide la comunità del Foglio, dallo Zeitgeist. Quando Langone conciona contro i cani e i loro padroni e padrone, attribuendo ai pet le origini della rovina dell’occidente, io godo. Guardo le mie bassotte con sentimentalismo, penso con ipocrisia morale a tutti gli animali della campagna e del mare, rigorosamente crudi finché non finiscono nel piatto, e godo del diverso sentire e parere di quello scrittore oraziano, più che eccellente, che devia così spesso sulla via epigrammatica di Marziale, ma sempre in un latino squisito.
La diversità è come il sale evangelico, offre sapore e senso all’esistenza. Guai se il sale non sia più in grado di salare la nostra storia. D’istinto non capisco come la si possa pensare diversamente da me, e mi piacerebbe un ambiente in cui tutti facessero quello che dico io. Ma la ragione mi suggerisce la libertà più e meglio della tolleranza. Di questa libertà fa parte un pacchetto di sigarette, e sì che a me le sigarette hanno fatto un po’ male, e per questo vorrei investire la ministra Lorenzin, che si appresta all’ennesima campagna terroristica contro il fumo, con una domanda alla Filippo di Edinburgo: ma chi ti mantiene? Lo stato ricava dei soldi dal fumo, i fumatori ne ricavano piacere infinito: perché inondare i pacchetti di avvisi funesti, che cazzo di spirito mitologico esprime questa mappa infernale, a quali aruspici si affida il ministero della Salute?
Due fatti dell’epoca mi angustiano: un presidente nero che fa di tutto per omologare il mondo nelle spire della sua colta retorica, e tra poco lo lascerà nel suo massimo disordine prenucleare, e un Papa bianco che non si risparmia la fatica del banale, per quanto santo sia il suo progetto di salvare la chiesa dall’irrilevanza con l’uso attento della povertà evangelica che il capitalismo combatte. Schäuble e Varoufakis mi sono piaciuti: carta vince carta perde, ovvio, ma il declino dell’ideologia con la firma di Tsipras, Alexis Troikas come lo chiama il Foglio, è una notevole consolazione per un vecchietto europeo come me. Mi conforta perfino il guru infradito che dalla Sardegna dell’Aga Khan sputa sentenze sulla moralità degli altri, dopo un weekend pestifero ad Atene. Tutto, pur di difendere la diversità, anche quella dei tipi da spiaggia.
Poi bisogna che un principio unificatore, di ragione e realtà, abbia la meglio. La Merkel è una Mutti impagabile, spiega alla piccola palestinese, che poi viene ospitata in Germania, come non ci sia posto per tutti in Europa. Lei piange, e i media, fastidiosi, le asciugano le lacrime. Pronti a rilanciare Salvini e Casa Pound il giorno dopo, quando bastonano i povericristi dalla pelle nera insediati dai prefetti della Repubblica in qualche sede di periferia. Ecco, i media non sono diversi, questo è il problema.
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