Sulla scuola più riforme, meno precari
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Renzi non scimmiotti Camusso. Sì alla legge, ma senza assunzioni
di Redazione | 17 Giugno 2015 ore 19:45 Foglio
Nel ritorno annunciato dal Renzi 2 (modalità consensuale) al Renzi 1 (modalità rottamatrice), qualcosa già si ingarbuglia. Il premier accusa la sinistra Pd e dintorni, che con migliaia di emendamenti blocca in Senato la riforma della scuola, di “impedire l’assunzione di 100 mila precari”. Ma così utilizza in modo speculare argomenti e linguaggio di chi osteggia la riforma in Parlamento e nelle piazze, Cgil in testa.
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Che cosa c’entrano i precari con “#labuonascuola”? I cardini della legge, già approvata alla Camera, dovrebbero (dovevano) essere, testualmente: l’autonomia scolastica “attraverso un’efficace ed efficiente gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali”; l’ammodernamento della didattica, con tanto di acronimo, Pof, “Piano triennale di offerta formativa”, e curriculum di studi personalizzati; l’alternanza scuola-lavoro; l’innovazione digitale; bonus annui per l’aggiornamento dei docenti; l’ammodernamento e la messa in sicurezza degli edifici; un nuovo percorso di formazione degli insegnanti. A tutto questo – e dopo avere malauguratamente tolto di mezzo gli aumenti retributivi legati al merito e non agli automatismi, la responsabilità semi-dirigenziale dei presidi e il 5 per mille per finanziare gli istituti in sede di denuncia dei redditi – si è collegata la maxi-imbarcata dei precari. Di più: si è ridotta a quello, dopo essere partita dall’istruzione e dal merito, dalle necessità di studenti, famiglie, del mondo del lavoro. Scelta al ribasso politica, o peggio elettorale.
Le statistiche Ocse ed Eurostat dimostrano che non abbiamo un problema di personale: il rapporto tra studenti e docenti è in Italia di 11,7, sotto la media europea, largamente inferiore alla Germania (16,1 studenti per insegnante), alla Francia (14,5), al Regno Unito (17,3). Agitando la bandiera dei precari Renzi dimentica la lezione blairiana – “education, education, education” – e parla come i conservatori – mica quelli di Cameron, ma quelli di Camusso – che considerano la scuola italiana soprattutto una garanzia e un ammortizzatore sociale per chi ci lavora, dove chi vince i concorsi è regolarmente scavalcato da precari più o meno d’annata, più o meno sindacalizzati. L’inno protestatario dei british Pink Floyd – “we don’t need no education” – non è la colonna sonora giusta. Dov’è il riformatore-rottamatore?