Siamo arrivati al capolinea del siderurgico? Il silenzio fu complice

di Redazione | 22 Luglio 2015 ore 06:18 Foglio

Dei sequestri subiti dall’Ilva, l’ultimo, all’Altoforno 2, è il meno ingiustificato perché lì a giugno è morto un operaio – non è chiaro com’è andata né se le condizioni di sicurezza sono ottimali – e perché da tre anni, in massima parte sotto la gestione pubblica, le manutenzioni sono insufficienti. Ma c’è un’altra differenza enorme rispetto al passato. Ora è in corso un dibattito pubblico sulle incursioni giudiziarie in economia e sulle conseguenze nefaste di sequestri oppressivi, e molti considerano decisiva la difesa dell’Afo2. In parte lo è: se il penultimo altoforno attivo chiude, conviene chiudere l’Ilva. Tuttavia quando nel 2012 vennero sequestrati l’area a caldo e i prodotti finiti e il governo Monti s’oppose con decreto in pochi criticarono i giudici (il nemico n.1 erano i Riva). Fu l’inizio della fine. Quei laminati e tubi per il gip erano “frutto di un delitto”. Ma erano anche il prodotto del siderurgico: con il sequestro persero valore, i clienti americani cancellarono ordini per 90 milioni di euro. Il sequestro odierno è diverso.

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Ma il problema che si pone è noto. Il governo emana un decreto – siamo all’ottavo a favore dell’Ilva – e viene stracciato di fatto dall’autorità giudiziaria. La legge viene così superata e non sarebbe ammissibile. Lo sostiene anche Sabino Cassese che, stante il dubbio di costituzionalità del decreto sollevato dalla procura davanti alla Consulta, dice che l’atto ha autonomia ed efficacia esecutiva; perciò l’altoforno deve operare. La magistratura si ritiene dunque sopra la legge? Dov’è la novità? Dopodiché bisogna pure chiedersi se sia corretto istituire per decreto il principio per cui un luogo di lavoro insicuro deve restare aperto. Magari chi restò silente saprà rispondere.

Categoria Giustizia

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