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Dal caso De Luca a Berlusconi. Come il governo proverà a togliere potere alla burocrazia giudiziaria
di Alessandra Sardoni | 14 Maggio 2015 ore 16:28
La Consulta si esprimerà sulla differenza di trattamento fra parlamentari e amministratori locali
Cosa succederebbe se il sindaco sospeso di Salerno Vincenzo De Luca, condannato in primo grado per abuso d’ufficio, candidabile in base alla legge Severino, ma obbligato alla decadenza, fosse eletto presidente della Campania? “Un pasticcio istituzionale senza precedenti oggetto di una rimozione collettiva”, dice allarmato al Foglio un esponente di peso del Pd campano che tale rimozione non vuole tradire. E in effetti a meno di venti giorni dalle elezioni regionali, la domanda non ha ancora una risposta tecnicamente certa nel Partito democratico e nemmeno nelle sue propaggini governative o accademiche. Eppure intorno a questo caso e alle possibili soluzioni tutte legate a forme di decostruzione della legge Severino, ruotano questioni di grande rilievo politico e paradossi. Il più vistoso è la delega (tacita) a quella stessa Corte Costituzionale che sulle pensioni ha allargato lo spazio di un dito all’intero braccio, condizionando fortissimamente la politica economica del governo Renzi. Cui bisogna aggiungere l’improvvisa speranza in un pronunciamento della Corte di Strasburgo pro Berlusconi. Il costituzionalista dem Stefano Ceccanti immagina un percorso di questo tipo: De Luca appena eletto sarebbe sospeso per via della legge Severino, farebbe ricorso al Tar che presumibilmente lo rimetterebbe in sella come ha già fatto con De Magistris. Nell’attesa al suo posto governerebbe il o la vicepresidente. Casella che dunque potrebbe assumere una certa importanza.
La durata dell’interregno non sembra preoccupare nessuno, “non sarà una cosa lunga”, ti dicono tutti. L’atteggiamento della giustizia amministrativa è dato per scontato: sospensione della sospensiva. Se l’hanno fatto per De Magistris perché non ripetere per De Luca? Poco importa che in realtà proprio mentre dava ragione al sindaco di Napoli contro il parlamento, il Consiglio di Stato bocciasse l’analogo ricorso di un sindaco del foggiano.
Che il Tar possa davvero decidere è tuttavia, a sua volta, questione sub iudice. La Cassazione ha accolto infatti il ricorso presentato dall’avvocato Gianluigi Pellegrino per conto del Movimento per la difesa del Cittadino contro De Magistris e il 26 maggio, cinque giorni prima delle elezioni regionali, stabilirà se i Tar sono o, come sostiene il procuratore generale, non sono competenti. Se la Cassazione togliesse titolarità ai Tar, De Luca dovrebbe presentare ricorso al giudice ordinario, spiega Pellegrino. “Ma in questo caso la giurisprudenza è meno favorevole e dunque prima di confutare la legge Severino, i magistrati ordinari ci penserebbero un po’ “.
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Nel frattempo, parallelamente, scorre il fiume carsico della Corte Costituzionale, chiamata a dirimere, a partire ancora una volta dal caso De Magistris, la differenza di trattamento fra parlamentari e amministratori locali: i primi decadono dopo sentenza passata in giudicato, i secondi fin dal primo grado. Si tratta di infilarsi in una zona di confine tra retroattività e provvisorietà della sentenza, spiegano gli esperti. Il giudizio è già fissato per il 20 ottobre 2015. La relatrice è Daria De Pretis, giurista dell’Università di Trento, moglie dell’ ex senatore del Pd Giovanni Kessler area Libertà Eguale, viceministro Enrico Morando, nominata giudice costituzionale da Giorgio Napolitano.
Filippo Patroni Griffi, già ministro della pubblica amministrazione del governo Monti e coautore della Severino, oggi consigliere di Stato, ricorda comunque al Foglio che la “sospensione non è infinita, ma che si calcola in rapporto alla pena e decorre dal momento della condanna, quindi da quando De Luca era sindaco”.
Naturalmente l’ipotesi più semplice per il candidato governatore e anche per Renzi in quanto segretario del Pd è che De Luca sia assolto in appello. Mediaticamente il reato, abuso d’ufficio , è liquidato come una cosa lievissima, “ridicola”, “lessicale” nella semplificazione dei talk televisivi. Fino a divenire caso di scuola per riscrivere almeno su questo la Severino. A dispetto del fatto che quando nel dicembre 2012 la legge Severino. anticorruzione e “liste pulite”, fu votata dalla maggioranza Pd, Pdl , centristi ed elogiata da magistrati come Giuseppe Pignatone, Luca Palamara, e giuristi come Carlo Federico Grosso, l’aver inserito l’abuso d’ufficio fu motivo di lode.
Ma anche qui il problema sono i tempi, quando arriverà il giudizio di secondo grado? “Presto, prima della Consulta arriverà la Corte di Strasburgo” è la profezia di Gaetano Quagliariello. Che nel frattempo se la prende con l’elasticità e l’arbitrio del concetto di opportunità politica secondo Renzi: “Lupi si è dimesso e loro candidano De Luca, altro che questione degli impresentabili”, osservava qualche giorno fa ospite di un talk show. Nel centrodestra e nelle zone di confine si prevede che questa volta l’Europa soccorrerà Berlusconi su un punto che con il caso Campania non c’entra nulla, la retroattività. All’epoca della partita parlamentare sulla decadenza di Berlusconi, con poche eccezioni, i giuristi si erano mostrati prevalentemente orientati a considerare l’incandidabilità successiva alla condanna definitiva non come una misura afflittiva o una sanzione, ma come elemento derivante dalla mancanza dei requisiti soggettivi necessari per rappresentare gli elettori. Una scuola di pensiero prevalente in Italia e nella legge Severino, ma non in Europa dove la logica dominante è quella sanzionatoria. Di qui le speranze dell’ex premier. “Se Strasburgo sconfessasse la Severino sulla decadenza di Berlusconi, la legge sarebbe da riscrivere anche sul resto”, aggiungono in Forza Italia dove comunque l’atteggiamento è meno ottimista sui tempi rispetto a quello di Quagliariello.
“La verità è che la politica sta dicendo a magistrature di ogni ordine e grado e anche fuori dall’Italia per favore disapplicate la legge che ho fatto io”, osserva Pellegrino. E in effetti il pasticcio kafkiano di cui sopra sembra soprattutto in cerca di un escamotage e di una delega. Oltre che della costruzione di un clima da character assassination nei confronti di una legge approvata poco più di due anni fa come risposta all’antipolitica all’epoca ancora fuori dal parlamento, agli scandali delle regioni, agli oltre cento parlamentari tra condannati, imputati, indagati. La contabilità allora era accurata, argomento per legiferare in assenza di autoregolamentazione. Oggi ai colpi che arrivano dalle forzature interpretative dei casi De Luca e De Magistris, si aggiungono anche qualche primo distinguo di Raffaele Cantone (si potrebbe aggiustare qualcosa, ha detto assolvendo preventivamente eventuali minimi interventi parlamentari) e le accuse dell’area culturale del Fatto quotidiano che attribuisce alla legge Severino in se stessa e non all’interpretazione che ne hanno dato la procura di Milano e soprattutto Ilda Boccassini l’assoluzione di Berlusconi dal reato di concussione nel processo Ruby.
“Non puoi avere una legge che la politica reputa intollerabile e che il consenso smentisce” osserva un professorone renziano che preferisce restare anonimo data la delicatezza del momento. “E’ la fine di un periodo” dichiara ammettendo la natura effimera del consenso intorno alla legge che ha mandato Berlusconi fuori dal parlamento. Ma nel frattempo la sentenza della Consulta sulle pensioni definita dai fedelissimi il secondo macigno sulla strada di Renzi dopo quella sulla legge elettorale rende più imbarazzante l’ipotesi del soccorso e pericolosa la caducità delle leggi.
Così tra De Luca e Berlusconi, De Magistris e i Tar, la Severino resta un oggetto da maneggiare con cautela anche per uno come Renzi: fautore del primato della politica, nel caso delle primarie campane e di De Luca, per una volta appare assai stretto nell’imbuto della collisione fra consenso e sovranità.
Car. Giustizia